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Magda Negri

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DEMOCRAZIA E’ LIBERTA’ – LA MARGHERITA


Gianluca Susta

Torino, agosto 2007


LE MIE IDEE PER IL PD DEL PIEMONTE


Il centrosinistra dopo le speranze suscitate con il successo alle politiche della scorsa primavera, appare ripiegato su se stesso, frenato nella sua vocazione riformatrice; condizionato dal protagonismo dei singoli; incapace di giocare un ruolo politico e di governo in Europa e nel mondo, nonostante la fiducia riposta in Romano Prodi un anno fa; timido nel ricercare il dialogo con i mondi sociali emergenti.

La constatazione che anche in Europa l’area riformista arranca,

 dopo la sconfitta alle presidenziali francesi e l’alternarsi di sondaggi ora positivi ora negativi in Gran Bretagna, Germania e Spagna, non consola e ci spinge ancor di più verso la creazione di un nuovo soggetto politico che sappia interpretare e rappresentare la plurale ricchezza di storie e di culture politiche riformiste che il ‘900 ci consegna, ma che da sole non sono più in grado di orientare l’opinione pubblica in un mondo ormai privo delle antiche certezze e che sempre più deve fare i conti con il “villaggio globale”.

Questa è la sfida del Partito Democratico in Italia e in Piemonte. La nostra esperienza e la nostra intelligenza delle cose ci dice che solo la sapiente sintesi delle culture politiche che hanno favorito, promosso e realizzato la liberazione dal fascismo con la Resistenza; che hanno costruito la democrazia repubblicana; che hanno contribuito, anche dialetticamente tra loro, al progressivo inserimento delle forze politiche espressioni del movimento operaio nel governo dello Stato democratico, può segnare un’ulteriore fase di sviluppo del nostro Paese.

Sarebbe stolto, però, non vedere che quelle chiavi di lettura, depurate dalla contrapposizione ideologica superata dalla fine della “guerra fredda”, non sono più sufficienti né in termini di progetto e programma né di organizzazione politica a cogliere i “segni dei tempi” che mutano. Come rispondere al precariato diffuso? Come tutelare i nuovi poveri? Come far crescere una società multiculturale e multietnica fondata sulla convivialità delle differenze? Come contrastare la “società liquida” che vede la progressiva fragilizzazione e disgregazione di tutte le relazioni, dalle garanzie del lavoro e del welfare alle relazioni familiari e parentali fino ai sentimenti? Come rispondere al diffuso bisogno di sicurezza? Come reagire alla diffusa esigenza- che però non può e non deve riguardare solo la politica- di sobrietà, di rigore, di “nuovo senso del dovere”? Come non vedere che la progressiva sfiducia verso le promesse non mantenute è alla base dell’opposizione, spesso preconcetta e strumentalizzata, delle comunità locali alle infrastrutture indispensabili allo sviluppo, senza il quale saremo destinati a un futuro di regressione e di progressiva emarginazione? Come non capire che senza una diffusa cultura della legalità e una lotta senza quartiere alle tante “nuove mafie” la democrazia rischia di ridursi a stanco esercizio di un diritto di voto poco partecipato e a delega totale al leader di turno?

Il Partito Democratico è chiamato a rispondere a queste domande. Come partito innanzitutto! Finalmente si pone fine alla stagione dei cartelli elettorali, delle liste dei leader, delle federazioni ipocritamente presentate come partiti, delle “agorà virtuali”. Partito evoca appartenenza, radicamento territoriale, partecipazione degli aderenti, degli iscritti e dei militanti.
Partito evoca informazione, discussione, condivisione. Partito evoca rapporto con la cittadinanza tutta; confronto con gli “altri”; selezione dal basso della classe dirigente. Partito, quindi, che utilizza gli strumenti e le possibilità della società tecnologica non come sostitutivi del dialogo interpersonale, ma integrativi e perciò stesso democratici. Partito evoca democrazia, evoca patto sociale. Se è vero che la partitocrazia  rappresenta una degenerazione della democrazia, è un inganno pensare che vi possa essere democrazia senza partiti. Contrapporre ai partiti una non ben definita società civile è frutto di una visione infantile della politica, qualunquista, ma anche pericolosa perché apre le porte a leadership non mediate dal voto popolare. Il partito, dunque, non come entità contrapposta alla società civile, ma come il luogo in cui la società civile entra in rapporto virtuoso con la politica e con le istituzioni, dando così il proprio contributo alla formazione del bene comune.

DEMOCRATICO, inoltre. E’ nella parola “democratico” che sta la sintesi del percorso compiuto dall’area riformista del centrosinistra in questi dodici anni, dalla nascita dell’Ulivo in poi. Nel concetto di “democratico” noi ritroviamo la “cultura delle regole”, il fondamento liberale degli Stati moderni; il solidarismo proprio della cultura politica del cattolicesimo democratico; la progressiva emancipazione del movimento operaio e il suo completo inserimento nello Stato unitario; le nuove sensibilità ambientali che sono alla base delle sfide della nuova epoca; la legalità come bisogno primario di tutti coloro che si sono avvicinati alla politica sull’onda della reazione alle emergenze democratiche vissute in questi trent’anni.

Chi guiderà il Partito Democratico – a tutti i livelli – dovrà innanzitutto aver dimostrato coerenza e impegno, nella sua storia politica e personale, rispetto al perseguimento e al raggiungimento dell’obiettivo di costruire la “casa comune dei riformisti” al di là dei “recinti” identitari delle singole esperienze, e dovrà farsi carico di questa pluralità nella consapevolezza che non i nuovi divi mediatici, non i frequentatori assidui dei “salotti buoni” delle vecchie e nuove aristocrazie, non i tecnocrati delle nuove e moderne burocrazie pubbliche e parapubbliche, ma coloro che hanno maturato forti esperienze politiche senza aver reciso i loro legami con la vita professionale e civile, dovranno costituire la “spina dorsale” della dirigenza del nuovo partito.

Un Partito DEMOCRATICO, quindi, perché POPOLARE, fatto di “liberi ed eguali”, di “coraggiosi e forti”, in cui le doverose “quote” a favore di giovani e donne siano concepite come risposta all’anomalia del presente e non come alterazione di un principio di vera eguaglianza.

Un partito siffatto non può che essere FEDERALE, APERTO e AUTONOMO.
Federale, quindi “tarato”sulle diverse esigenze regionali. Autonomo, quindi libero di costruire piattaforme programmatiche e alleanze non precostituite, coerenti con il proprio “cuore riformista”, capaci di realizzarle e dotato di risorse adeguate. Il che significa che i futuri candidati in Piemonte dovranno essere scelti tra persone che conoscono i territori e li rappresentano, senza più accettare candidature che rispondono esclusivamente a ragioni partitiche nazionali. Aperto alla partecipazione di singoli e di gruppi o associazioni, articolato sia nella dimensione territoriale sia nelle varie realtà di impegno quotidiano.

La proiezione istituzionale dell’impegno del Partito Democratico non può che essere coerente con questa sua natura. Una riforma elettorale che abolisca il listino; riaccorpi le piccole circoscrizioni, anche per favorire la rappresentanza dei partiti più piccoli purché superino il 3%; limiti a ¼ del totale gli assessori “esterni”; definisca il numero massimo di consiglieri regionali a 60; riveda le indennità tenendo conto degli eccessi dei costi della politica; stabilisca il limite dei mandati a non più di tre: queste sono alcune delle proposte che occorre realizzare in Piemonte nel corso di questa legislatura. A ciò si aggiunge l’esigenza di scegliere – a tutti i livelli – (città, provincia e Regione) – attraverso le PRIMARIE i candidati in posizione apicale nonché quelli nei collegi uninominali o nelle liste bloccate (qualora non venisse reintrodotto il voto di preferenza).

Il Piemonte, con la sua specificità all’interno della più grande “questione settentrionale”, deve diventare un laboratorio politico in cui sperimentare la novità del Partito Democratico. Al coraggio istituzionale manifestato dalla Presidente della Regione nel disegnare nuove cornici di valorizzazione del Nord-Ovest nello Stato unitario e dal Sindaco di Torino nella battaglia per evitare la marginalizzazione del Piemonte e della sua capitale sul fronte infrastrutturale e culturale, occorre accompagnare l’esigenza di “ricucitura” dei “due Piemonti” con un “partito a rete”, che metta in sintonia Torino con le sette Province piemontesi, dando spazio al protagonismo dei territori e valorizzandone le singole specificità, e che sappia interpretare la profonda diversità, anche in termini antropologici, culturali ed economici di una parte della Regione che si è fortemente allontanata da un centrosinistra che, almeno nell’attività di governo, si è dimostrato diffidente, quando non ostile e punitivo, verso il mondo del lavoro autonomo, delle libere professioni, della piccola e media impresa. Questi mondi, che costituiscono in misura maggioritaria il tessuto economico e produttivo delle province piemontesi, chiedono di essere compresi e supportati, anziché mortificati, nello sforzo competitivo che compiono quotidianamente sui mercati internazionali in un quadro di carenza infrastrutturale (Terzo valico, Pedemontana, Biella-Torino-Milano, Asti-Cuneo, linee ferroviarie inadeguate, elevati costi energetici, etc,) che esige impegni che non possono riguardare solo la pur indispensabile e non più rinviabile realizzazione della linea Torino-Lione. Il Partito Democratico in Piemonte dovrà farsi promotore di un proprio osservatorio permanente sullo stato di avanzamento delle grandi opere.

Guardare questi “mondi vitali” con la stessa passione e preoccupazione con cui una forza riformista deve prendersi cura dei poveri di sempre e dei nuovi poveri, significa perseguire l’ambizioso disegno di radicare il PARTITO NUOVO in un rinnovato blocco sociale che veda la coesione delle forze produttive, imprenditoriali e del lavoro dipendente, impegnate nella creazione di nuove risorse da ridistribuire secondo criteri di vera equità sociale, anche intergenerazionale, attraverso un sistema fiscale fondato sulla fiducia nel rapporto tra il cittadino e lo Stato. Il Partito Democratico deve credere nell’idea alta di politica come “organizzazione della speranza”, tenendo insieme le speranze dei gruppi sociali più deboli con quelle delle categorie professionali e produttive.

Una moderna forza riformatrice vuole uno Stato più forte nel definire le regole e nel farle celermente rispettare e, nel contempo, chiede che in questa cornice di regole certe la libertà economica si sviluppi nell’interesse di chi investe e della comunità tutta, favorendo la concorrenza, combattendo i monopoli pubblici e privati, liberando le risorse per la ricerca, la formazione, l’educazione permanete, la riforma del Welfare.

Una moderna forza riformatrice considera le autonomie locali una ricchezza e non un costo. Il giusto richiamo alla politica come servizio non può mortificare i municipi che restano presidi di democrazia sul territorio. La Margherita in Consiglio Regionale ha dato un importante contributo al varo della legge per la valorizzazione dei piccoli comuni, con l’obiettivo di favorire la gestione associata dei servizi. Sempre grazie a La Margherita è stato possibile realizzare un’opera di semplificazione e sburocratizzazione della legislazione regionale. Occorre continuare su questa strada evitando interventi centralisti dall’alto e intensificando l’iniziativa amministrativa e legislativa a livello regionale, in concerto con con gli enti territoriali.

Una moderna forza riformatrice si impegna ad avviare una celere riforma istituzionale che restituisca alle Regioni il loro ruolo di legislazione, programmazione ed alta amministrazione e conferisca agli enti intermedi riformati, anche nei loro confini territoriali, le deleghe per la gestione delle competenze amministrative. Occorre procedere speditamente nell’attuazione del Titolo V della Costituzione e in questo senso ben vengano accordi di collaborazione istituzionale con altre Regioni, come quelli già posti in essere con la Liguria, per attivare politiche comuni con conseguenze molto significative per la qualità della vita dei cittadini.

Una moderna forza riformista pone alla base del suo agire la liberazione di una parte troppo grande delle sue Città, delle sue Province e delle sue Regioni, dalla criminalità organizzata, “micro” o macro” che sia. La sicurezza porta con sè un valore intrinsecamente progressista perchè è ai più deboli che lo Stato deve garantire la protezione che gli deriva dalla sua stessa natura di “ordinamento sovrano”. In questo quadro la “questione settentrionale” si lega alla “questione meridionale” dal momento che lo sviluppo del Sud e il mancato funzionamento della publbica amministrazione (si pensi alla recente emergenza rifiuti) in quella parte del Paese, ancora troppo sotto il giogo della criminalità organizzata, alimenta al nord la sfiducia verso le Istituzioni. Ben venga, quindi, la nuova normativa che il Piemonte sta adottando sulla base di un’idea di “sicurezza integrata”, prestando attenzione alla prevenzione, al controllo del territorio, all’assistenza delle vittime dei reati e al coinvolgimento degli enti locali e delle associazioni.

Una moderna forza riformista non può avere come proprio orizzonte solo quello della tutela dei diritti individuali, ma deve tutelare e valorizzare quei luoghi dove si formano i legami tra le persone, dove nascono le comunità, ovvero le formazioni sociali intermedie, a cominciare dalla famiglia, non limitandosi a fotografarne i mutamenti in atto, ma intervenendo per garantirne la stabilità e la crescita attraverso la costruzione di un Welfare familiare e generazionale che favorisca la natalità e la conciliazione trai tempi della vita familiare e i tempi del lavoro. Per questo La Margherita considera prioritario l’approvazione in Regione del progetto di legge sulla famiglia a cui il partito ha contribuito con un pacchetto di proposte  attente a non discriminare coloro che scelgono forme diverse dal matrimonio, ma anche a non equipare situazioni differenti per le quali occorre comunque impegnarsi per un loro riconoscimento giuridico coerente con i principi della Carta Costituzionale.

Una moderna forza riformista non rinvia alle coscienze dei singoli la soluzione di problemi etici che riguardano i confini della vita e l’uso delle tecnologie.
Credenti e non credenti, nella comune appartenenza a istituzioni laiche per definizione, in cui conta solo la responsabilità dei singoli e non deve essere chiamata in causa la responsabilità delle Chiese o delle confessioni religiose di cui i singoli  si considerano parte, hanno, soprattutto in questa Regione dove vivono importanti minoranze religiose, cristiane e non, il dovere di trovare punti di sintesi in cui si possa riconoscere la stragrande maggioranza delle persone, senza forzature pregiudizialmente anticattoliche, figlie di un anticlericalismo fuori dal tempo, e senza forzature tendenti a trasformare il dogma in legge, magari in cambio dell’appoggio in termini di consenso, che riproporrebbe uno schema clerico- moderato che la nascita del cattolicesimo democratico ha da quasi 90 anni superato.

Solo così si evita una frattura, a mio giudizio, tra “questione cattolica” e “questione nazionale” in cui il negare la specificità della prima finisce per costringere il centro sinistra ad affrontare la seconda dando per scontato che il cattolicesimo italiano sia già “dall’altra parte”. Così non è! Ma per evitare che lo diventi occorre che, depurati da ogni ideologismo e strumentalizzazione da parte della destra, alcuni temi e alcune attenzioni tornino – laicamente! – al centro del dibattito per trovare i possibili punti di sintesi.

Una moderna forza riformista si impegna a superare la politica ridotta a spettacolo e a riproporre uno stile di sobrietà che riduca davvero i privilegi ai nuovi potenti e alle “corti” che li circondano; che restituisca dignità alla pubblica amministrazione e a quella “terzietà” troppo compromessa dal ricorso a figure esterne, spesso di dubbia qualità, ma non certo di compiacente fedeltà; che dia al Paese, a quasi 150 anni dall’Unità d’Italia, l’idea che dal Piemonte parte la “rifondazione dello Stato”.

Sono alcune idee che offro al dibattito che coinvolge migliaia di persone nella speranza che questo sia il vero terreno di confronto tra noi che abbiamo fortemente perseguito, non da oggi, l’obiettivo di dare agli Italiani una nuova “casa”: la “Casa comune dei riformisti”, il PARTITO DEMOCRATICO!

Gianluca SUSTA

 

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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