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Magda Negri

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Segnalo, a chi fosse interessato,  il blog di Pietro Ichino (www.pietroichino) sui temi della contrattazione collettiva

L'accordo interconfederale senza la CGIL: domande e risposte. E' stata davvero una trappola ai danni della confederazione di Epifani? Quali effetti produrrà sui livelli retributivi? Quale cambiamento porterà nella struttura della contrattazione collettiva?

Sulla Repubblica di domenica Eugenio Scalfari sostiene che nell’incontro tra Governo e parti sociali del 22 gennaio Epifani è stato colto di sorpresa: gli si è chiesto, senza preavviso, un “sì” o un “no” sull’accordo interconfederale al termine di una riunione dedicata ad altro. Era dunque inevitabile che il leader della Cgil facesse quel che ha fatto: abbandonare il tavolo. È andata veramente così?


     Non esattamente: tutti gli addetti ai lavori - compresi noi parlamentari - sapevano da almeno due settimane che il 22 gennaio si sarebbe svolta la seduta finale del negoziato sulla riforma della struttura della contrattazione collettiva; e si sapeva pure che la Confindustria aveva ormai deciso di arrivare alla firma almeno con Cisl, Uil e Ugl, anche se la Cgil avesse insistito nel rifiuto. E’ vero che quel giorno è stato proposto un testo contenente alcune novità rispetto al penultimo testo di cui si era discusso prima di Natale, tra le quali le più rilevanti sono l’estensione del nuovo assetto al settore pubblico e la nuova formulazione della clausola sulla derogabilità del contratto collettivo nazionale da parte del contratto aziendale; ma è vero anche che questo ultimo testo era molto diverso dal brutto testo proposto dalla Confindustria nella primavera scorsa. Il punto è che la Cgil aveva già deciso comunque di non firmare, anche senza queste aggiunte: non mi sembra corretto, dunque, dire che la causa dello “strappo” sia questa scorrettezza procedurale, se di scorrettezza si è trattato.


     Il motivo principale per cui la Cgil ha rifiutato l’accordo è la prospettiva che nei futuri rinnovi nazionali esso produca una riduzione degli adeguamenti retributivi rispetto all’inflazione. La Confindustria e gli altri sindacati firmatari negano questa prospettiva. Come stanno realmente le cose?


     Occorre considerare, innanzitutto, che il nuovo accordo prevede esplicitamente che sia negoziato in ogni impresa un premio di produzione: sindacato e lavoratori avranno dunque un vero e proprio diritto all’apertura della trattativa per l’istituzione del premio di produzione in ciascuna azienda in cui il nuovo sistema si applicherà. Questo deve portare a un mutamento di grande rilievo, sia dal punto di vista dell’estensione della contrattazione aziendale, sia nella struttura delle retribuzioni. I sindacati che sapranno riformare se stessi e mettersi in grado di svolgere incisivamente questa funzione attiveranno un modello di relazioni industriali significativamente diverso da quello attuale. Ed è subito evidente che, se non si tiene conto di questo dato, tutti i confronti fra vecchio e nuovo sistema sono inattendibili.


     Per quel che riguarda la parte della retribuzione negoziata al livello nazionale, l’accordo istituisce un meccanismo di adeguamento dei minimi tabellari secondo un indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo) che non è di per sé meno protettivo rispetto al meccanismo precedente, fondato sul riferimento all’“inflazione programmata”: esso, semmai, è destinato a portare un adeguamento più vicino all’inflazione reale, rispetto a quanto accaduto nel quindicennio passato.


     Nel nuovo sistema il sindacato rinuncia a negoziare al livello nazionale aumenti retributivi collegati agli aumenti di produttività (come avveniva nel vecchio sistema), al fine di lasciare più spazio allo sviluppo della contrattazione al livello aziendale su questa materia. L’accordo, però, prevede pure che i contratti nazionali di settore istituiscano un “elemento retributivo di garanzia” (ERG), destinato a scattare nelle imprese dove la contrattazione di secondo livello di fatto non si attivi. È sostanzialmente una generalizzazione del meccanismo già da tempo previsto dal contratto collettivo dei metalmeccanici (dove è chiamato “assegno perequativo”). Anche se si considera soltanto la parte di retribuzione negoziata al livello centrale, non si può ragionevolmente affermare che il risultato di queste nuove norme-quadro sarà una sua riduzione prima di conoscere l’entità dell’ERG che verrà stabilita da ciascun contratto nazionale.


     La Cgil esprime a questo proposito il timore che, nei settori in cui il sindacato è più debole, l’ERG di fatto non venga contrattato, o venga determinato in misura troppo bassa. Ma dove il sindacato è più debole era più difficile anche il “recupero di produttività” che veniva negoziato al livello nazionale nel vecchio sistema. Qualcun altro osserva che l’ERG dovrà necessariamente essere di entità molto ridotta, se non si vuole che ne derivi, al livello nazionale, una “retribuzione-base di fatto” troppo alta per le aziende con andamento meno positivo.


     I primi visitatori di questo sito ricorderanno che nel maggio scorso avevo proposto una formulazione della clausola relativa all’ERG suscettibile di offrire una “garanzia” assai efficace, pur mantenendo uno stretto collegamento di questa voce retributiva con l‘andamento aziendale (si trattava di un’idea originariamente proposta da Tito Boeri e Pietro Garibaldi: un premio di produttività “di default” collegato al margine operativo lordo di ciascuna azienda). Ho ragione di ritenere che, se la Cgil, nella trattativa svoltasi nel corso del 2008, avesse sostenuto un meccanismo di questo genere, la Confindustria non avrebbe opposto un rifiuto pregiudiziale. E’ vero che questo meccanismo non avrebbe prodotto aumenti retributivi nelle aziende che più soffrono l’attuale fase di crisi; ma questo non è affatto un male: la flessibilità della retribuzione in relazione all’andamento aziendale favorisce la continuità dell’occupazione, evita le sospensioni del lavoro e i licenziamenti.
Come funzionerà il nuovo sistema nel settore pubblico?


Questo è un problema di non piccolo conto. Fino a che non sarà stato attivato il sistema di valutazione indipendente e trasparente delle performances degli uffuci pubblici non vedo proprio come la contrattazione decentrata possa svolgere bene, in questo settore, la funzione di collegamento delle retribuzioni all’andamento gestionale.
Quali sono le altre innovazioni più rilevanti portate dall’accordo?


Innanzitutto, la previsione di un accordo ulteriore, da stipularsi entro tre mesi, per la definizione dei criteri di misurazione della rappresentatività dei sindacati, al livello nazionale e a quello aziendale. Come può funzionare un sistema di regole sulla rappresentanza se non lo firma anche la confederazione sindacale maggiore?


Mi sembra difficile che la Cgil possa sottrarsi alla negoziazione e stipulazione di questo secondo accordo, essendo stata sempre la stessa Cgil a chiederlo ed essendoci già, fin dal maggio scorso, un accordo abbastanza ben definito fra le tre confederazioni maggiori sulle regole da istituire. Questo secondo accordo sulla rappresentanza non potrebbe, allora, essere l’occasione per ricucire lo “strappo” tra le confederazioni?


Sì. E a quel punto, anche la riforma della struttura della contrattazione collettiva potrebbe decollare: una volta stabilito il criterio di misurazione della rappresentatività, settore per settore sarà la coalizione sindacale maggioritaria a decidere se applicare o no le nuove regole. Così avremo, per esempio, a seconda della maggioranza sindacale operante in ciascun settore, quello tessile e quello chimico che applicheranno le nuove regole, il settore metalmeccanico e quello del commercio che non le applicheranno; e ci sarà la possibilità di misurare e verificare gli effetti dell’uno e dell’altro assetto della contrattazione collettiva.

A ben vedere, un vero pluralismo sindacale significa proprio questo: possibilità di modelli diversi di relazioni industriali di confrontarsi e competere tra di loro, in modo che i lavoratori possano compiere la loro scelta a ragion veduta, in modo pragmatico e non soltanto sulla base di opzioni ideologiche. Apprezzo molto, poi, che nell’accordo sia stata inserita una disposizione che applica il principio di democrazia sindacale anche per la proclamazione degli scioperi nei servizi pubblici: disposizione che ricalca perfettamente lo schema proposto nel mio disegno di legge sullo sciopero nei trasporti pubblici.
Le altre novità rilevanti contenute nell‘accordo?


Una importantissima è costituita dalla previsione della possibilità che il contratto aziendale – se stipulato dalla coalizione sindacale maggioritaria – deroghi al contratto nazionale, sia in materia retributiva, sia in materia “normativa”; e questo sia in situazioni di difficoltà economica, dove sia necessaria una riduzione dello standard retributivo, sia, al contrario, nelle situazioni in cui la deroga è necessaria per introdurre una innovazione nell’organizzazione del lavoro non compatibile con il modello fissato dal contratto nazionale. Su questo punto è profondamente cambiata la filosofia stessa dell’accordo, rispetto al testo che era stato proposto dalla Confindustria nella primavera scorsa.

Chi ha letto quanto ho scritto su questo punto (in particolare, il libro A che cosa serve il sindacato e il saggio Che cosa impedisce ai lavoratori di scegliersi l’imprenditore), oppure anche solo le proposte programmatiche presentate in campagna elettorale, sa perché considero indispensabile questo ampliamento dello spazio della contrattazione aziendale per aprire maggiormente il nostro sistema all’innovazione e agli investimenti stranieri, che sono il solo modo per ottenere un forte aumento delle nostre retribuzioni.


Certo, tutti questi contenuti innovativi dell’accordo interconfederale presuppongono una visione complessivamente nuova del sistema di relazioni industriali e della strategia di promozione dei redditi di lavoro. Comprendo che per la Cgil sia difficile oggi far propria questa strategia; ma - per i motivi che ho spiegato altrove - sono convinto che questo passo sia necessario.
 

 

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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