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Magda Negri

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Corriere della Sera, 15 novembre 2009

L'ex SEGRETARIO: in questi mesi ho taciuto di fronte a cose insopportabili

«Torno a partecipare alla vita del Pd»

Veltroni: dobbiamo rinnovare profondamente la nostra classe politica al Sud

Walter Veltroni, lei non ha ancora commentato la vittoria di Bersani.
«Era nell'ordine delle cose che potesse accadere. Il risultato va letto più in profondità. Le primarie sono andate bene: chi sosteneva che non si elegge così un segretario di partito aveva torto. Però sarebbe sbagliato nascondersi che è diminuito il numero dei votanti, in un momento di scontro con Berlusconi molto più forte che nel 2007, quando c'era il governo Prodi. Non c'è dubbio che ci siano stati meno entusiasmo, meno carica, meno partecipazione di giovani. Detto questo, le primarie si rispettano».

Quindi lei resta?


«Ho detto che rispetto le primarie e il loro risultato. Rutelli se n'è andato. D'Alema ha dichiarato che in caso di vittoria di Franceschini avrebbe dovuto fondare un nuovo partito di sinistra. Io credo nel Pd, ci credo da sempre, anche quando tanti irridevano questa prospettiva. L'ho fondato. Il mio posto è qui. In questi mesi, per amore del Pd, ho taciuto anche di fronte a cose insopportabili. Vedo che ora si ricorre alle 'veline rosse', fogli secondo cui starei per andarmene dal mio partito. È un mondo che mi fa tristezza, che non frequento; sono abituato a dire le cose in prima persona. Domani ci sarà la direzione del partito e andrò, con lo stesso spirito sereno di questi mesi. Avevo detto che sarei rimasto fuori dalla fase congressuale, e l'ho fatto. Ora la fase congressuale è finita, e riprenderò a partecipare alla vita del Pd».

Cosa si attende da Bersani?
«Bersani è un segretario rispettato da tutti. Da me, che conosco le difficoltà di quel lavoro, lo sarà più che da altri. Spero che rispetti tutte le opinioni. Io vinsi le primarie con il 76%, e certo non ho dato al partito una conduzione solitaria: negli organi dirigenti era rappresentato ogni orientamento, e le decisioni sono state prese senza dissensi. Bersani è stato eletto con il 53%; il 47% non ha votato per lui. Sono convinto che la sua intelligenza lo spinga a capire che il Pd va diretto rispettando le identità, le culture, le differenti posizioni. C'è bisogno di un Pd unito».

Che impressione le ha fatto l'addio di Rutelli?
«Non lo condivido affatto. Ma non condivido neppure le reazioni. Non mi piace che aleggi, come nei tempi andati, l'accusa di tradimento. Quando sento definire un uomo indipendente come Calearo 'uno che ha sbagliato ristorante', riconosco uno stile che credevo superato con la coraggiosa svolta di Occhetto di vent'anni fa. Ma fa pensare anche sentire Tabacci, fino a ieri favorevole all'elezione di Bersani, dire oggi che con Bersani il Pd è troppo a sinistra. È come se si volesse far arretrare il Pd in un recinto più tradizionale per fare spazio a posizioni centriste. Io resto fedele al progetto originario».

E invece?
«Il rischio è che si ritorni allo schema del centrosinistra col trattino. Il modello in verità non è l'Ulivo, perché l'Ulivo del `96 è diventato nel frattempo il partito democratico. Il modello è l'Unione: coalizzare tutte le forze contrarie alla destra per impedirle di vincere le elezioni. Bene; ma poi? Così si costruiscono governi che faticano a stare in piedi. Senza una maggioranza riformista coesa non si cambia l'Italia, non si fanno la rivoluzione verde, la lotta all'evasione fiscale e alla precarietà, la battaglia per la legalità. E non si porta l'Italia fuori dalla guerra civile permanente».

Guerra civile?
«Quale altro paese ha avuto vent'anni di fascismo, la guerra fredda con i morti per le strade, il terrorismo, Tangentopoli, 15 anni di berlusconismo, con l'elemento permanente della mafia, delle stragi, di un grumo di oscurità? Quale altro paese passerebbe sotto silenzio la denuncia del procuratore Grasso, che all'Antimafia ha detto di vedere dietro le stragi del '92 la 'regia di un'entità esterna'?».

Quale entità esterna, secondo lei?
«Ci sono processi in corso; l'ultima cosa che farei è interferire in un processo. Leggeremo le testimonianze. Certo c'è un rapporto tra mafia e politica. C'è una cappa di piombo che si preferirebbe non sollevare. Vedo che Maroni e Bassolino concordano nel dire che il video dell'omicidio di Napoli non andava mostrato; invece è giusto mostrarlo, perché ci ha dato quella che Gadda chiamava la cognizione del dolore, e dell'indifferenza. In campagna elettorale io dicevo che avrei schiantato la mafia, Berlusconi diceva che Mangano è un eroe. Sono segnali. Messaggi che si mandano, come candidare o meno Cosentino. Ma la lotta alla mafia chiama in causa anche il Pd. Dobbiamo rinnovare profondamente la classe politica al Sud, a partire dalle regionali. Facce nuove, energie nuove, prese anche dalla società civile. Uomini come Raffaele Cantone, il magistrato che ha combattuto la camorra in Campania» .

Gli uomini che lei scelse dalla società civile non l'hanno delusa?
«Ricordo quando Berlinguer portò in Parlamento Natalia Ginzburg, Gino Paoli, Andrea Barbato, Altiero Spinelli, Alberto Moravia; personaggi che oggi sarebbero accolti dal sorrisetto ironico dei professionisti della politica. Io rivendico di aver portato in Parlamento Pietro Ichino, Umberto Veronesi, Achille Serra, Salvatore Vassallo, il prefetto De Sena, intellettuali come Carofiglio, donne e uomini che si battono per i diritti civili come Paola Concia e Jean-Léonard Touadi, imprenditori come Calearo e Colaninno, un operaio con una robusta intelligenza politica come Boccuzzi... » .

Rivendica pure la Madia?
«Mi fa piacere che si parli bene di Marianna Madia, e la si trovi intelligente e colta, ora che pare non sostenga più le mie posizioni. Io la stimavo prima e la stimo ora».

Lei ebbe un ruolo anche nella scelta di Marrazzo. Cosa prova adesso?
«Più che lo sconcerto politico per questa intricata vicenda, provo dolore per la persona e per la famiglia. Ciò non implica che sia sbagliato scegliere persone che non vengono dalla politica. Ricordiamoci delle persone che vengono dalla politica e si sono macchiate di frequentazioni criminali» .

Perché Prodi ce l'ha tanto con lei?
«Psicologicamente lo capisco, ma il rapporto di stima tra noi non è mai cambiato. Prodi è stato convinto che il voltafaccia di Mastella sia stato prodotto dalla scelta, espressa al Lingotto, della vocazione maggioritaria del Pd. Ma ci si dimentica della fatica quotidiana di quel governo. Dei cento sottosegretari, della crisi dopo un anno, della maggioranza appesa al respiro di Turigliatto, delle manifestazioni in piazza di ministri contro il governo, della riduzione drastica del consenso, della sentenza di un socio di maggioranza come Bertinotti che parlò di una fase politica conclusa. E poi quanto è accaduto dopo lascia credere che Mastella avesse maturato il proposito di passare dall'altra parte. Proposito realizzato».

La 'vocazione maggioritaria' non ha forse fallito?
«No. Non ho mai pensato all'autosufficienza del Pd. Pensavo, e penso, che il Pd debba costruire una maggioranza riformista. Posso ricordarle un dato che a molti sfugge? Nel 2008 la coalizione riformista ha preso gli stessi voti del Pdl. Nel `96 vincemmo perché la Lega andò da sola e avemmo bisogno della desistenza di Rifondazione. Nel 2008 i riformisti hanno preso gli stessi voti della destra: mai accaduto prima nella storia d'Italia. Ora Rutelli dice: mi metto fuori e contratto. E in Sinistra e libertà affiorano venti di scissione. Ma se questa idea si fa strada si torna alla frammentazione, ai 19 gruppi parlamentari».

Il Pd non dovrebbe accettare il confronto sulle riforme, a cominciare dalla giustizia?
«Anche questa legislatura a mio avviso è ormai sprecata. Il mio schema era quello delle democrazie occidentali: maggioranza e opposizione se le danno di santa ragione, ma le riforme istituzionali si fanno insieme. Rafforzare il potere di controllo del parlamento, dimezzare il numero dei parlamentari e ridurne le retribuzioni, superare il bicameralismo a favore di una democrazia che decide non è un favore a chi governa. Siamo noi per primi che abbiamo interesse ad evitare il degrado delle istituzioni. Ma Berlusconi non vuole le riforme; vuole risolvere i suoi problemi. Non ci sono già più le condizioni per l'accordo » .

Cosa pensa dell'ipotesi di D'Alema ministro degli Esteri dell'Ue?
«Le nostre profonde differenze politiche sono note, e si sono accresciute. Questo non mi impedisce di vedere che la nomina di D'Alema sarebbe un'opportunità per l'Europa, per il paese e per il centrosinistra. Mi auguro vada in porto».

Dalla Lanzillotta a Vernetti, chi lascia il Pd lamenta che non sia stata seguita la linea di Veltroni. È in corso la sua riabilitazione?
«So come va il mondo. Leggo che l'onorevole Marini si rallegra che il Pd non sia più un 'partito frou-frou'. Da lui mi sarei atteso semmai qualche parola di autocritica sul voto in Abruzzo. Sono fiero della campagna del 2008, di essere stato in 110 piazze, quasi rimettendoci la salute. Sono stato a pranzo con le famiglie italiane, ho girato il paese tenendomi agli antipodi dalla politica spettacolo. Ho lasciato, dopo la grande manifestazione del Circo Massimo (altro che partito liquido), un Pd con centinaia di migliaia di iscritti e un bilancio splendido. Soprattutto, credo di aver destato una speranza che non è ancora spenta. L'Italia oggi è un paese triste. Ma è anche un paese straordinario, pieno di talento e di energie. Un paese che potrebbe sbocciare. Io sento il dovere di continuare a servire il paese che amo. Di tenere vivo quel sogno che volevamo realizzare, e a cui insieme non possiamo rinunciare».

Aldo Cazzullo

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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