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Magda Negri

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l'Unità, 27 ottobre 2007 - L'intervista - Prodi: «Il mio governo non cede alle lobby» - Ninni Andriolo

«Ho abbastanza esperienza nel campo economico per capire quando faccio un dispetto a interessi particolari forti. Non si è sentito nessuno dire: "il governo ha favorito il signor x", come è accaduto nella storia della politica italiana. Ecco, questa coerenza si paga». Romano Prodi fa il bilancio, in una lunga intervista a L'Unità, dell'azione del governo e indica prospettive e problemi: a cominciare appunto dalle pressioni di lobby e di «gruppi forti». È soddisfatto del voto sul decreto fiscale al Senato, nonostante le diverse battute d'arresto nei voti sugli emendamenti: «La battaglia condotta dal nostro gruppo al Senato è stata eroica». Più di rotture politiche, teme «una fuga delle responsabilità». Sul Pd ripete che «mette in sicurezza il Paese». «Io - aggiunge - avrò un ruolo di garante. L'obiettivo minimo è il 33 per cento, sotto sarebbe un problema». Il Governo «non cede alle lobby» e «non c'è un isolamento del presidente del Consiglio. C'è, invece, una certa sordità a rispondere a certe pressioni». Romano Prodi è in piena forma. Si sente «tranquillissimo e dorme «sonni tranquilli». I problemi nella maggioranza ci sono, ammette, ma «la situazione è la stessa di un anno e mezzo fa e il governo va avanti, malgrado le continue previsioni di sventura e le quotidiane ipotesi di spallate». Il Partito democratico? «Oggi si riunisce l'Assemblea costituente, un fatto straordinario. Sono soddisfatto. Con il Pd abbiamo messo in sicurezza il Paese». Presidente è vero che ha sgridato Di Pietro, l'altra sera? «Gli ho chiesto se intende sostenere il governo anche per il futuro» E lui come ha reagito? «Tonino ha sostenuto le sue ragioni. La cosa importante, però, è che ha stragiurato fedeltà al governo, negando qualsiasi contenuto politico al voto dell'altro ieri. Io non ho paura di una rottura politica con Di Pietro. La dialettica non può essere confusa con le divergenze». E con Mastella si sente tranquillo? «Non ho davvero alcun problema con Clemente. Mi preoccupano, invece, alcuni atteggiamenti individuali, di singoli. E mi preoccupano certe interpretazioni dei media...».

 

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 In particolare, presidente? «Se uno fa un'analisi sincera si rende conto che non avevamo certo una larga maggioranza, nemmeno il giorno dopo le elezioni. Oggi siamo nella stessa situazione. Per un anno e mezzo in Senato hanno votato compatti, come soldati. Se uno guarda le cose per come sono capirà che quelli dell'altro ieri erano puri incidenti. Simili ne sono capitati moltissime volte. Anche nella scorsa legislatura, quando la destra aveva ben altra maggioranza». I problemi del centrosinistra si aggravano, però,... «Non sto dicendo che tutto va bene. In questi mesi, però, abbiamo avuto contro un bel po' di quelli che vengono definiti "poteri forti". Malgrado ciò il programma è andato avanti lo stesso. E oggi ci poniamo l'obiettivo di approvare una serie di provvedimenti che sono di grande interesse per molti cittadini. Abbiamo un decreto, una Finanziaria e un protocollo sul Welfare. ai quali si può anche votar contro. In questo modo, però, non si farebbe un dispetto a un partito politico o a me. Ma a diversi milioni di persone che hanno un basso livello di reddito e all'economia dell'intero Paese» Ed è a proposito di questi provvedimenti che lei esige che gli alleati rispettino gli impegni? «In questi pacchetti c'è un contenuto politico vero, C'è una dottrina che coniuga l'aiuto allo sviluppo del Paese e l'aiuto ai meno abbienti. Un unicum che si articola in diversi provvedimenti. Alcuni corretti, bene o male è altro problema. Altri frutto di un compromesso. Ho dovuto mediare anche con me stesso, ad esempio. Abbiamo messo in cantiere lo sconto dell'Ici, invece dell'assegno alle famiglie che io avrei preferito. La direzione, in ogni caso, è chiarissima. Coerente con il lavoro svolto in questo anno e mezzo: aiuto alla crescita del Paese e solidarietà nei confronti dei meno favoriti» Nessun entusiasmo, però. Né tra gli industriali, né tra i sindacati. Perché secondo lei? «Vogliamo ricordare qualche direttrice concreta di marcia? Competitività dal cuneo fiscale in poi, la riorganizzazione e la semplificazione fiscale di Visco, ecc. Come mai, ad esempio, le piccole e le medie imprese sono contente e non brontolano? Come mai gli artigiani non protestano? Da una parte il sostegno allo sviluppo, dall'altra gli aiuti alle pensioni più basse e agli incapienti: nessuno può dire che non ci sia coerenza da parte del governo». Tutto ciò non la mette al riparo dagli scivoloni parlamentari. Come se lo spiega? «Può darsi che ci sia interesse a tentare di abbattere il governo. Secondo me, però, c'è più interesse a portare avanti i provvedimenti che aiutano concretamente il Paese» Al Senato il decreto fiscale alla fine è stato approvato. Sembra che lì la maggioranza si difenda con le unghie e con i denti... «Il gruppo parlamentare del Senato è eroico. Se non fosse così battagliero, con una maggioranza tanto risicata, il numero degli incidenti sarebbe dieci volte maggiore. Ho già espresso il mio apprezzamento più sincero alla presidente dei senatori dell'Ulivo, Anna Finocchiaro. Ma, in generale, quello dei senatori del centrosinistra è un comportamento da grandi parlamentari. E ne approfitto per sottolineare che trovo vergognosi gli attacchi rivolti ai senatori a vita e a Rita Levi Montalcini in particolare». La campagna acquisti è fallita, quindi? Quella di Berlusconi era una mistificazione o è un investimento per il futuro? «Per controllare se quella campagna acquisti è vera o no ci vorrebbe la Consob, la Commissione anti-monopoli o la Guardia di Finanza. Finora, a ben vedere, non si è riflessa nel voto. Detto questo, mi colpisce che nessuno si sdegni per il fatto che il capo dell'opposizione prometta vantaggi individuali per favorire i cambiamenti di collocazione politica. In questo Paese anche questo passa per un fatto normale, dato per acquisito». Ma c'è il problema del centro? La sinistra radicale ribadisce che il governo deve temere soprattutto la sponda moderata dell'Unione... «Nell'alleanza c'è un problema di visibilità. Che è completamente comprensibile vista l'attuale legge elettorale. Questo problema esiste a sinistra, perché siamo al governo e siamo più esposti. Ma esiste anche nell'opposizione. Per questo è necessaria la riforma. Perché non solo le attuali norme frammentano, ma obbligano a presentarsi in modo individuale e forte per ottenere vantaggi politici». Esistono le condizioni per cambiare la legge elettorale? «Io faccio appello perché questo sia possibile, perché si facciano tutti gli sforzi per raggiungere l'obiettivo». Lei quale sistema preferirebbe: quello francese, quello tedesco o quello spagnolo? «Il Presidente del Consiglio non appoggia un sistema rispetto all'altro. Ha necessità di dare governabilità al Paese. Nello stesso tempo, però, sollecita la trasformazione di un sistema che è estremamente frammentato. Il governo deve spingere perché la riforma avvenga, ma deve lasciare che sia il Parlamento a decidere» I piccoli partiti della sua stessa coalizione, però, temono l'accorpamento... «Data l'attuale situazione i partiti vogliono massima visibilità. Si rendono conto, tuttavia, che così non possono andare avanti all'infinito. Io, in realtà, sono convinto che alla riforma pensino seriamente tutti. E devo dire che in tutti i colloqui che ho avuto la necessità di una riforma è stata condivisa. E se c'è una proposta che prevede gli accorpamenti, io noto che la maggior parte dei partiti si sta attrezzando per adattarsi alle conseguenze. È chiaro che non avrai mai qualcuno che ti proponga norme che lo sfavoriscano immediatamente. Però hai parecchi casi in cui, se arriva una legge che ti obbliga a determinati accorpamenti, l'accorpamento si mette in pratica. Ecco, una riforma elettorale deve cercare di comporre questi interessi». Il referendum non potrebbe diventare senza alternative, alla fine? «Non considero il referendum una soluzione anche se alcuni pensano che potrebbe stimolare nuove soluzioni. Per quanto mi riguarda non ne sono così convinto». Lei ricorda spesso l'impegno assunto con gli alleati: si dura cinque anni e se il governo cade prima si va al voto.... «Su questo deve decidere il Presidente della Repubblica. Io non sono certo padrone del processo costituzionale. Certo, noi abbiamo preso un impegno per tutta la legislatura con i nostri elettori. E io lo voglio mantenere. Su quello che avviene in caso di crisi, però, decide il Capo dello Stato». C'è chi parla di crisi strisciante e di accanimento terapeutico per tenere in vita un governo al capolinea. Lei come la pensa? «Il governo sta lavorando bene. E poi, vorrei ricordare, sta durando da 17 mesi con tutti che dicono, da 17 mesi, che morirà la mattina dopo. Ecco, il buon senso mi dice che se il governo fosse incapace di prendere decisioni coerenti e serie dovrebbe dimettersi. Ma non è il nostro caso. Abbiamo preso decisioni di straordinaria importanza, quasi tutte all'unanimità» Il governo si è diviso sul pacchetto sicurezza, nei giorni scorsi... «Non c'era alcuna divisione. Si è registrata, invece, la necessità di un'ulteriore riflessione su alcuni punti, di aggiungere cose importanti come il falso in bilancio. Il processo di armonizzazione del Consiglio dei ministri sta andando avanti». Il centrodestra chiede le sue dimissioni, Berlusconi ha già annunciato una mobilitazione per metà novembre. «Lo ripeto. Il governo dovrebbe dimettersi se non riuscisse a decidere, non se c'è una dialettica al suo interno. Comporre questa dialettica è il mio compito. Noi finora abbiamo preso tutte le decisioni che dovevamo prendere. E mi dicano quali di queste abbiamo rinviato. Annunciavano che non avremmo tolto lo scalone e lo abbiamo tolto, che non avremmo fatto il protocollo sul welfare, che sul decreto non ci sarebbe stato accordo, che non avremmo varato la Finanziaria. Noi, invece, fin dall'inizio, avevamo un chiaro disegno politico: mettere a posto i conti con un forte sforzo iniziale e poi passare allo sviluppo. E questo disegno va avanti. Perché il governo dovrebbe dimettersi? Certo non perché lo dice qualche editorialista». Media e "poteri forti" insieme, quindi? Il complottone che va avanti? «La verità è che non abbiamo l'orecchio fino a rispondere a certi richiami. Lo dico con la massima semplicità. Non c'è un isolamento del Presidente del Consiglio, c'è una certa sordità a rispondere a certe pressioni». A quali, presidente? «Ho abbastanza esperienza nel campo economico per capire quando faccio un dispetto a interessi particolari forti. Non si è sentito nessuno dire: "il governo ha favorito il signor x", come è accaduto nella storia della politica italiana. Questa coerenza si paga». Anche Bertinotti dice che è difficile comunicare con Palazzo Chigi... «Parlare con me, per la verità, è la cosa più facile del mondo. Credo di essere il premier che riceve le telefonate sul cellulare dalla gente più svariata. E non ho cambiato numero. Però, intendiamoci, Bertinotti è il Presidente della Camera, ed ho per questo ruolo un grande rispetto istituzionale. Perché poi, se fai troppe telefonate diventi inopportuno. E credo che questo dovrebbe essere il comportamento di tutti coloro che fanno politica in un Paese». L'immagine che si vuol dipingere, però, è quella di un premier assediato nel bunker di Palazzo Chigi... «Qui è un continuo di riunioni. Con le parti sociali, con categorie: è un continuo di rapporti con il Paese. Palazzo Chigi isolato? Si vive tra una riunione e l'altra per risolvere i problemi degli italiani» Nessun logoramento, nessuna tentazione di gettare la spugna? «Veramente sto lavorando e mi sto anche divertendo. Vuol sapere se sono tranquillo? Bene, anche stanotte ho dormito perfettamente. Il decreto fiscale, tra l'altro, è passato. E questo è importante. Sa, io sono stato anche presidente della Commissione Ue. E dopo cinque anni in cui mi hanno massaggiato gli inglesi, anche se ti grattugiano la schiena non senti nessun effetto. Chi fa politica deve affrontare serenamente tutte le situazioni. Sa cosa hanno scritto quando mi hanno mandato gli ultimi bossoli? "Glieli rimandiamo perché con quelli che abbiamo spedito prima lei ha fatto finta di niente". Mica ho fatto pubblicità quando hanno mandato quei bossoli. Appartiene alla regola dirlo alla Digos e a nessun altro. Questo è un modo civile di comportarsi in un Paese. Quando fai politica sia i bossoli che i Bossi non ti spaventano». E lei è serenissimo anche di fronte al pm De Magistris, che la ha iscritta nel registro degli indagati per l'inchiesta Why Not? «Quando ho sentito questa cosa, di cui non so assolutamente nulla, ho detto: "la giustizia faccia il suo corso". Non mi sono mosso da questa posizione. Non so ancora nulla. Rinnovo la mia fiducia nella giustizia pur non sapendo ancora nulla. Cosa devo fare di più?». Il Capo dello Stato ha dichiarato che vigilerà su quell'inchiesta... «E' giusto. La giustizia ha i suoi strumenti, i suoi organi di controllo, le sue gerarchie. La mia reazione del primo istante è la stessa di oggi. Sono tranquillissimo». Oggi si riunisce a Milano la Costituente del Partito democratico. Come vive questo avvio, presidente? «Lo vivo con il sentimento di chi pensa che abbiamo messo in sicurezza il Paese. C'è una forza democratica e riformista che potrà avere più successo in una elezione, minore successo in un'altra. Ma che costituirà un punto di riferimento a cui il centrodestra non potrà non reagire in modo simmetrico. In Italia si svilupperà una più solida democrazia dell'alternanza. Abbiamo anche contribuito al chiarimento della politica italiana. Le forze riformiste vanno con le forze riformiste, le forze conservatrici con quelle conservatrici. Il passato peserà sempre di meno, sempre di più si guarderà al futuro». E dal punto di vista umano? Sarà certamente soddisfatto dell'approdo che "ha sempre sognato"... «Certo, c'è anche la soddisfazione personale. Io sono entrato in politica solo per promuovere, prima con l'Ulivo e poi con il Pd, la convergenza tra le forze riformiste, cattoliche, socialiste e laiche. Perché era assurdo che fossero divise su schieramenti opposti. Ed è anche questo che produce tanta noia. Perché qui si tratta di un vero cambiamento. E oggi è la giornata in cui la nave arriva in porto. E non era per nulla scontato che si raggiungesse questo obiettivo. Intanto perché lo si rilanciò concretamente meno di due anni fa, poi perché la collocazione europea del nuovo partito era ritenuta una questione dirimente» Problema risolto, questo, con il cambiamento del nome che si appresterebbe a decidere il Pse? «L'altra settimana sono stato a Lisbona, anche per la riunione del vertice del Partito Socialista europeo. C'era un interessa attivo e la coscienza che, anche a livello europeo, o si mettono insieme tutte le forze riformiste oppure vincerà sempre lo schieramento conservatore. Un cambiamento assolutamente radicale rispetto a qualche anno fa. Ecco, per tutto questo la giornata di oggi sarà di grande soddisfazione. Il motivo per il quale sono entrato in politica viene oggi raggiunto. E scusate se è poco.». E come dovrà vivere concretamente il Pd, secondo lei?» «Il primo obiettivo è l'applicazione dell'articolo 49 della Costituzione. Che finalmente, cioè, ci sia trasparenza nella organizzazione del partito e nel suo operato. Ci sia un elenco pubblico degli iscritti, si voti con metodo democratico. Il partito, in sostanza, deve riacquistare il ruolo che ha in ogni società democratica». Non dovrà essere un partito "liquido", quindi? «No. Può essere amplissimo, perché adesso abbiamo dei sistemi modernissimi per l'espressione della volontà. Ma dovrà avere una lista pubblica di chi è membro del partito. Perché si evitino gli errori di venti o trenta anni fa, che hanno minato la credibilità della Prima Repubblica: tessere gonfiate, ecc. Il Pd dovrà essere conseguente con il metodo democratico che si è manifestato in modo eccezionale con l'elezione di Veltroni. Il Pd, inoltre, sarà un partito compiutamente federale, collegato ai territori, alle regioni. Anche i segretari regionali dovranno avere un ruolo incisivo, un po' come nei lander tedeschi». Il metodo delle primarie dovrà essere utilizzato anche per la scelta dei candidati alle elezioni? «Oggi si riunisce un'Assemblea eletta da tre milioni e mezzo di persone con il metodo delle primarie, un fatto enorme. Ed è chiaro che questo metodo è ormai entrato nella nostra consuetudine. Decideremo in quali fasi della vita del partito applicarlo. Il problema vitale per un Paese è che non ci siano dubbi sulla pulizia dei partiti. Questo non è un discorso che faccio solo per noi, anzi. Parto da una condanna assoluta della struttura organizzativa del centrodestra di oggi, dei partiti che nascono dall'alto e che non fanno mai congressi. E se noi abbiamo avuto una pagliuzza negli occhi, gli altri hanno certamente una trave. Sia chiaro: con il Partito democratico il concetto di democrazia fa un grande salto in avanti». A quale percentuale elettorale potrà aspirare il Pd? «Io, quando pensavo all'Ulivo e al Pd, mi sono posto l'obiettivo di raggiungere un terzo dei voti. Circa il 33%, cioè. E questo perché il Pd sia come i grandi partiti europei che, quando scendono sotto un terzo, hanno dei problemi. Ritengo che questo debba essere l'obiettivo, affinché il partito possa svolgere il suo ruolo di stabilizzatore del sistema» Presidente dopo le primarie si parlò di "diarchia", di coabitazione difficile tra lei e Veltroni. Adesso si scrive che stareste collaborando per "stabilizzare il quadro politico". Qual è la verità? «Con Veltroni abbiamo collaudato un rapporto già dieci anni fa. Veltroni sa benissimo, da prima che si presentasse alle primarie, che io non andrò oltre la legislatura. E non lo faccio per caso, ma per favorire un cambio generazionale. Perché è necessario che si formino nuovi dirigenti, sapendo che è libero anche il primo posto. E su questo rimango fermo» Nessuno le impediva di candidarsi alle primarie... «Certo. Non l'ho fatto perché secondo me quel gesto sarebbe stato in contraddizione con il processo di rinnovamento di cui parlavo prima... Presidente ma lei ha avuto la tentazione di candidarsi per la leadership del Pd? «Se ci fosse stato il pericolo che si potesse mettere a rischio il processo di cambiamento del Paese non avrei avuto alcun problema a scendere in campo. Siccome le cose sono andate per la via giusta non l'ho fatto». Che ruolo immagina nel Partito democratico? Lei oggi è il presidente dell'Assemblea costituente, domani? «Io avrò più un ruolo di garante che non di gestione attiva. È questo quello che voglio fare. Guai a rompere le scatole a chi deve gestire quotidianamente una realtà complessa come sarà il nuovo partito» Quando dovrà cadere, secondo lei, la prima verifica elettorale del Pd? «Alle europee, gli altri saranno passaggi intermedi. Sarà la primavera del 2009 il primo traguardo. Di qui ad allora governo e Pd percorreranno un cammino comune che inizierà stamattina». Le elezioni anticipate indebolirebbero il nuovo partito? «Non ci saranno le elezioni anticipate. Ma anche se ci fossero, il Partito ormai esiste ed è già una realtà forte. È un processo ormai irreversibile». Un'ultima domanda. Si andrà ad una riduzione dei ministri? «In questo momento, e nel periodo prevedibile, la squadra deve funzionare com'è. Certamente, con una legge elettorale che non obblighi a una coalizione di tantissimi partiti, la formazione del governo sarebbe più semplice. Nell'attuale situazione, però, la rappresentatività degli elettori esige un governo più numeroso di quello al quale si sarebbe potuto pensare in altre circostanze. Vorrei, però, che questo problema non fosse esaltato. Perché stiamo restringendo moltissimo le spese, anche con il numero attuale di ministri. Stiamo riducendo tutto quello che la gente considera apparato. E questi sono i risultati che ci vengono chiesti»

 

 

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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