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Magda Negri

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Il Riformista, 28.12.07 - Ma il governo non è un organo tecnico - di Claudia Mancina

Il bilancio di fine anno stilato ieri dal presidente del Consiglio si è svolto nel modo prevedibile: orgogliosa rivendicazione dei risultati ottenuti e ottimismo per il futuro. Attraverso questo inevitabile rituale si sono però fatti luce squarci di una realtà più complessa, e più inquietante, che ha dato la sensazione di un certo isolamento del premier (per esempio sul conflitto d'interessi). Dal sentimento di insicurezza e di sfiducia diffuso tra i cittadini, all'incertezza politica della maggioranza e quindi del governo, che ha concluso un anno periglioso, ma è atteso già a gennaio da appuntamenti difficili: una verifica che sarà molto complicato chiudere, e il responso della Corte costituzionale sull'ammissibilità dei referendum, che potrebbe segnare la fine della legislatura o almeno di questo governo.

Se si aggiunge che la maggioranza ha già
perso pezzi importanti al Senato, il quadro appare decisamente fosco.
Non è escluso, naturalmente, che il governo riesca a durare ancora,
ma se ciò avverrà sarà più per mancanza di alternative che per sua
virtù. Lo stesso premier vi ha fatto un trasparente riferimento
quando, a proposito della annunciata defezione di Dini, ha osservato
che i governi cadono sulla sfiducia e non sulle interviste; e che,
anche se non c'è la sfiducia costruttiva, è normale che si rifletta a
cosa viene dopo. Prodi ha così messo il dito nella piaga, indicando
quello che è l'aspetto più preoccupante dell'attuale momento
politico: la mancanza di prospettive, l'incertezza degli esiti. Non
si è forse ancora visto con sufficiente chiarezza che il problema
principale oggi non è più quello del bipolarismo malato, dell'odio
tra gli schieramenti, tante volte giustamente denunciato dal
presidente della repubblica. Siamo in una fase diversa, nella quale è
in atto un vero e proprio smottamento del sistema politico, che
investe nello stesso modo maggioranza e opposizione. Nessuno oggi
potrebbe dire in che modo i due schieramenti andrebbero a eventuali
elezioni. Dipende dalla legge elettorale, certamente, ma chi può dire
con quale legge elettorale si voterà?
La delegittimazione dell'attuale legge (condivisa interamente - e
senza ombra di autocritica - anche da chi l'ha voluta, scritta e
votata), unita alla estrema difficoltà dell'accordo su un'altra, crea
una situazione di incertezza mai vista prima. Anche per chi ritiene
che la rottura di questo sistema politico sia un bene, la mancanza di
vie d'uscita non può non apparire preoccupante, perché nutre
l'antipolitica e favorisce il qualunquismo nazionale nelle sue forme
più insidiose. Ed è inquietante che il presidente del Consiglio
consideri questa situazione un buon argomento per sfidare i pezzi
riottosi della sua maggioranza. Una forza costruita sulla debolezza
di tutti non è una forza, soprattutto non è qualcosa che fa bene al
paese. Un governo non è solo un organismo tecnico, non deve solo far
bene il suo mestiere. È un organismo politico e deve anzitutto dare
al parlamento e al paese il senso della prospettiva in cui si va. È
ciò che non riesce a questo governo. E anche se è chiaro che la
responsabilità di questo è solo in parte del premier, l'immagine di
orgogliosa solitudine data ieri non è un'immagine positiva.
Dall'altro lato, anche Berlusconi perde punti nei sondaggi, e fatica
a mantenere la sua posizione di capo dell'opposizione e futuro
candidato premier. Nel campo in gran parte smobilitato del
centrodestra si riconoscono prospettive divergenti e ambizioni
conflittuali, tanto che rimettere in piedi la Casa delle libertà
sembra, al momento, piuttosto improbabile. Tuttavia, tutto può ancora
accadere. Ciò che era fermo può improvvisamente muoversi; ciò che
appariva definitivamente disgregato può tornare a riaggregarsi.
L'approvazione dei referendum potrebbe dare una accelerazione
decisiva, rimettendo in moto i soggetti politici e indicando una via
d'uscita dall'incertezza.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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