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Magda Negri

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Se è vero, come tante volte ha scritto anche Europa, che è in queste elezioni che si sta davvero fondando il Partito democratico, anche la selezione delle candidature deve essere letta come atto fondativo. I nomi scelti da Veltroni, Franceschini, Bettini e dagli altri sono dunque l’identikit del Pd, almeno per come lo vogliono presentare i suoi leader. Tanto più che il tavolo dei capi-componente ha potuto usufruire, per l’ultima volta si spera, del meccanismo del Porcellum: autentico sogno degli estensori di liste elettorali, trasformati in giudici di vita e morte politica. nIl lato brutto del Porcellum è che le esclusioni sono certe, ma hanno anche un padre e una madre.

La prima cosa che va detta per onestà, infatti, è che nessuno dei criteri cosiddetti oggettivi può essere addotto a giustificazione per quell’inserimento o quella bocciatura. Anzianità di legislatura, sesso, radicamento nel territorio, competenza, capacità di portare voti: quando s’è voluto, e per chi s’è voluto, si è derogato allegramente da questi saldi principi. Si è trattato dunque di una selezione soggettiva, soprattutto veltroniana si intende. (leggi tutto)
Da questo punto di vista, c’è un equivoco di fondo nelle tante cose che si sono dette e scritte in chiave polemica su Calearo, Colaninno, Serra, Ichino, le ragazze più o meno precarie, il giornalista cattolico, i radicali, Veronesi. Veltroni è persona troppo esperta per non sapere che nessuna di queste scelte (tranne forse l’ultima citata) serve a “portare voti”. Avrà ragione chi dal nord-est avverte che Calearo «non sposta voti». Ma non coglie il punto: con questi nomi Veltroni non cerca voti, vuole bensì lanciare un messaggio generale sulla natura del Pd. Per adesso, e per il dopo.
Dopo averlo fatto coi discorsi e col programma, ora è con l’album dei candidati democratici che Veltroni descrive il proprio partito. Il partito che ne esce è totalmente postideologico, senza una base sociale privilegiata di riferimento, assai multiculturale, più giovanissimo che giovane. Catch all party, s’è già detto e scritto.

La rottura più rumorosa, com’è inevitabile, avviene sul fronte della filosofia economica. E più estremo è il nome, più clamorosa la novità, e più avvelenate le polemiche dalla sinistra estrema, meglio è per un Veltroni che manda a dire all’Italia: non siamo più solo quelli del lavoro dipendente, di fabbrica o di ufficio. Ottimo, è quello che ci voleva. Anche se compiere una rottura del genere con grossi nomi confindustriali (o con Sangalli della Cna), pur garantendo un ritorno mediatico, non esaurisce il compito. Sarebbe stato bello per esempio rompere anche sul fronte delle professioni.
A parte questo, come si sposa questa discontinuità col percorso fin qui seguito per arrivare al Pd? Veltroni ha voluto avocare a sé tutte le novità presentate in questa campagna elettorale.Anche e soprattutto nella selezione dei candidati. Tutto ciò che c’è di nuovo rispetto alla vicenda pregressa dei Ds e della Margherita, risulta portato da lui, o comunque lo ha presentato lui.Come è giusto, è naturale, ed è soprattutto congeniale alla efficace corsa di Veltroni contro Berlusconi: che, alla fine, è l’unica cosa che conta adesso.

Questa “esclusiva” veltroniana ha avuto però una conseguenza: e cioè che tutto ciò che a Ds e Margherita è rimasto da fare in termini di candidature, è stata la difesa strenua degli uscenti. A quanto pare il risultato è stato ottenuto, e le quote predefinite sono state rispettate. Al prezzo però di essere relegati al ruolo di conservatori dell’esistente. È la nemesi, inevitabile, dei Fassino, dei Rutelli, dei D’Alema, di coloro che ai loro tempi si presentarono come gli innovatori. Da adesso in poi sarà sempre così? Passato il 14 aprile, comunque siano andate le elezioni ma in maniera più stringente se non si sarà completata la rimonta, ci sarà come si dice «da costruire il partito».

Un lavoro che fin qui non è stato fatto. Alla luce di questa incombenza, come si può leggere la selezione di classe dirigente compiuta in queste settimane? Pare di capire che nel Pd non si premia né il vecchio apparato, né la rivoluzione novista e neanche, come da Veltroni temevano i più, l’allegra brigata dei cantanti-attori- registi. Si premia invece quel meccanismo che già venne duramente rimproverato a D’Alema, Fassino e Rutelli nei loro partiti: la logica dello staff. Per capirci: ai tempi di Sbardella o Mastella capitava che un autista o un addetto stampa facessero carriera politica e parlamentare. Dovevano però guadagnarsela in casa propria, portando voti o ereditando quelli dei leader. Questo passaggio intermedio oggi salta, anche sulla scia dell’esempio berlusconiano.Potrebbe essere perfino un fatto positivo, se se ne guadagnasse in professionalità e capacità di lavoro. Sarà così, si spera.Colpisce però che stavolta gli staff non siano stati “assegnati” alle tra dizionali regioni rosse, bensì paracadutati prevalentemente al Sud. Questo è un rischio: lì, il necessario rinnovamento dei gruppi dirigenti deve partire dal radicamento territoriale.

Apparizioni aliene possono compromettere la logica clientelare, ma anche le speranze di ricambio locale.
Come si vede, non parliamo qui delle singole esclusioni che fanno scalpore, né del caso politico dei radicali. In un caso e nell’altro, questi riflessi negativi sono tipici della fase delle liste, che non è il momento più alto della politica.
Sarebbe stato forse raccomandabile proteggere i simboli (come per l’antimafia, che vive anche di simboli); è sicuramente corretto rispettare gli impegni con gli altri partiti; e infine, a sentire in giro, sarebbe stato apprezzato un metodo più “umano” nel trattare i singoli casi, anche di persone che nella costruzione del Pd ha meriti molto più antichi e solidi dei newcomers. Ma si sa da tempo – e chi non lo sapeva, adesso lo sa – che il candidato buono e sorridente è tale più in pubblico che in privato. Il che, alla fine, alla “gente” importa poco.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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