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Magda Negri

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Il programma Pdl vuole abrogare il '68 ma non tocca la spesa corrente primaria. Se uno è troppo realistico, l'altro è decisamente irrealistico.

I programmi di Pd e Pdl - secondo Luca Ricolfi (Il Riformista 22/3 e La Stampa 23/3) - sono simili, perché «entrambi promettono ogni sorta di interventi a favore di innumerevoli categorie di soggetti»; e perché entrambi «pensano di finanziare le promesse con dismissioni, contrasto all'evasione e lotta agli sprechi». Vorrei provare a dimostrare che entrambi i giudizi sono infondati.

 

 

 

1. Cominciamo dalla dimensione delle «promesse». Davvero comportano oneri analoghi o almeno paragonabili? Per non tediare troppo il lettore, limiterò l'analisi alla componente fiscale dei due programmi, iniziando da quello del Pd. L'aumento della detrazione Irpef per lavoro dipendente, «costa» 4,4 miliardi nel 2008 e 4,9 a regime. La riduzione delle aliquote Irpef, nel 2009, 5,8 miliardi, a regime 20,4. Il credito di imposta per le lavoratrici, dal 2010, 3,5 miliardi. La «dote fiscale dei figli», nel 2009, 1,6 miliardi, che crescono fino a 8,3 a regime. Gli interventi sul trattamento fiscale dell'affitto (percepito e pagato) 8 miliardi nel 2010, 3,5 a regime. Meno tasse sul salario di produttività: 0,6 miliardi nel 2009, 1,6 (speriamo: vorrebbe dire che la contrattazione di secondo livello si sarà sviluppata davvero) a regime. In totale (trascuro di elencare, ma considero nel calcolo altre proposte minori): 13 miliardi nel 2009, 38 nel 2012.
Passiamo ora al programma del Pdl. Versamento Iva di cassa: nel 2009, «costa» 10 miliardi. La detassazione delle tredicesime: a regime, 8-9 miliardi. Graduale abolizione dell'Irap: a regime (abolizione, se non sbaglio, significa che nel 2013 l'Irap non ci sarà più), 33 miliardi. Per anno, come minimo, 6-7 miliardi a partire dal 2008. Riduzione Iva turismo: con l'aliquota al 10, almeno 4-5 miliardi. Detassazione di straordinari, 2 miliardi. Abolizione Ici prima casa: almeno 2 miliardi. Introduzione quoziente famigliare (proposto in questi termini, non quantificabile. Per convenzione, simulo che costi tanto quanto la «dote fiscale dei figli» del Pd): 8,3 miliardi a regime. Tassazione separata dei redditi da locazione: almeno 2,5 miliardi. In totale, trascurando altre misure minori (e, in questo caso, non calcolandone l'onere): circa 70 miliardi, di cui almeno 40 concentrati nel 2009.
Conclusione: per dimensione degli oneri, i due programmi sono tutt'altro che simili, a meno che non si pretenda di dimostrare che 1 è uguale a 2. Quanto alla qualità delle misure proposte, non mi sembra che ci sia bisogno di «leggere e rileggere» per concludere che si tratta di opzioni molto diverse e spesso opposte: a meno di non essere disposti a sostenere che - ad esempio - la quota di salario da contrattazione di secondo livello e quella derivante da prestazione di lavoro straordinario sono la stessa cosa.

2. Vengo ora la tema del finanziamento dei due programmi.

Ricolfi sostiene che le fonti di copertura sono tre: a) dismissioni del patrimonio pubblico; b) contrasto all'evasione fiscale; c) lotta agli sprechi della P.a. . Analizziamo i due programmi, partendo dalle dismissioni. Per il Pd, l'attivo patrimoniale può essere chiamato a contribuire alla riduzione del debito pubblico sotto il 90% del Pil, più rapidamente di quanto non accadrebbe se si seguisse il percorso tracciato in questi due ultimi anni. Vantaggio atteso per il bilancio: ½ punto di PIL di spesa per interessi in meno. E' possibile? Per rispondere, basta andare alla Tavola 1.4 della recentissima Ruef, là dove si vede che, in assenza di interventi straordinari sul patrimonio, il debito pubblico arriva, nel 2011, secondo il tendenziale a legislazione vigente, al 95,0% del Pil.

L'intervento proposto dal Pd, dunque, consisterebbe nel determinare una ulteriore riduzione del debito di soli 5 punti. A fronte di un attivo patrimoniale superiore o almeno pari al 100% del Pil, non mi sembra un'enormità.

Il programma del Pdl, affronta la questione nella settima Missione «Un piano straordinario di finanza pubblica». Per questo piano, «l'effetto positivo cumulato atteso è stimabile in termini di un punto di Pil di minore spesa pubblica corrente e di un punto di Pil di maggiore crescita».

Ora, è facile tirare le somme: il programma del Pd è persino troppo realistico, confermando semmai una tradizionale timidezza del centro- sinistra in tema di dismissioni e valorizzazione del patrimonio pubblico. Il programma del Pdl, invece, è assolutamente irrealistico, sia per la ragione citata da Ricolfi (ci vorrebbero anni di trattativa con gli enti locali), sia per l'evidente sopravvalutazione dei suoi effetti sulla crescita del Pil.

Non solo: in tutto il programma del Pdl, questa VII Missione è l'unica in cui si scriva qualcosa di preciso sulla riduzione della spesa corrente (corrente, non corrente primaria). A meno di non considerare tale l'espressione: «considerevoli risparmi nel costo dello Stato», contenuta nella I Missione (pag. 8) come conseguenza di un non meglio definito piano di riorganizzazione e digitalizzazione della P.a. Del resto, nel programma Pdl l'espressione «spesa corrente primaria» non compare mai.

Confrontiamo ora i programmi sulla seconda fonte di finanziamento: la lotta all'evasione fiscale. Nell'Azione di governo n. 2 (Per un Fisco amico dello Sviluppo) del Pd si può leggere: «il rapporto tra aumento delle entrate e crescita della ricchezza nazionale è decisamente aumentato (nel 2006, è stato pari a 2,6; nel 2007, tra 1,5 e 1,6). Scontando un suo riprofilarsi verso il basso, e ipotizzando che esso possa mantenersi attorno all'1,3 (migliore di quello - 0,75 - della serie 2000-2005) è perfettamente fondato prevedere un andamento delle entrate capace di "coprire" finanziariamente questa riduzione Irpef».

Il programma del Pdl, sul punto, è piuttosto scarno: «Rafforzamento delle misure di contrasto all'evasione fiscale già contenute nella Legge Finanziaria del governo Berlusconi». Un'indicazione utile a dare il senso di un di un'autocritica rispetto alla lunga stagione dei condoni. La Legge Finanziaria per il 2006, effettivamente, ruppe con quella logica e favorì il recupero di evasione realizzatosi nel 2006. Ma, quanto al futuro, buio pesto.

In conclusione, su questo punto: è troppo chiedere che si dimostri dove il ragionamento del Pd in tema di elasticità entrate/Pil non tiene?

Ricolfi scrive, giustamente, che il livello della elasticità del biennio 2000-2007 è alla lunga insostenibile. Sostiene anche che esso scenderà fino allo 0,75 del quinquennio precedente? Può farlo.
Ma non ha pezze d'appoggio, giacché in entrambe le sue esperienze di governo il centro-sinistra ha dimostrato - assieme a tanti limiti in tanti altri campi - di saper migliorare la compliance fiscale tra contribuente e amministrazione finanziaria.

Sulla terza fonte di finanziamento - lotta agli sprechi della P.a. - Ricolfi ha ragione quando scrive: «il Pd pensa di avere una cura shock, con un contenimento della spesa corrente primaria di almeno 40 miliardi nei primi tre anni».

Evviva. Finalmente ci si è accorti che il programma del Pd - in questo assai poco «uguale» a quello del Pdl - si finanzia a carico di una pesantissima riduzione della spesa corrente primaria, in grado di interrompere l'inseguimento della spesa da parte della pressione fiscale, così consentendo che gli aumenti di gettito possano essere chiamati a "coprire" corrispondenti riduzioni di pressione fiscale sui contribuenti leali (a proposito dell'attendibilità tecnica di questo schema di intervento, si veda la nota introduttiva alla Ruef del Ministro dell'Economia, alla pagina VI).

Ricolfi scrive poi che il Pdl «pensa a un intervento decisamente più leggero, pari a 20-30 miliardi spalmati su 5 anni». Credo che arrivi a questa conclusione lavorando sulla settima Missione (già citata).

Se è così - e francamente non vedo a quale altra Missione del programma Pdl Ricolfi avrebbe potuto riferirsi - bisognerà preliminarmente notare che la spesa riducenda in questione non è quella corrente primaria, ma quella corrente per interessi (che diminuirebbe per effetto della riduzione del volume globale del debito). Non sembri un inutile formalismo: la spesa che, per essere ridotta, ha bisogno di una dura battaglia politico-culturale, è quella certamente primaria, non quella corrente per interessi.

Ciò da cui si deduce che chi punta tutto sulla dismissione del patrimonio pubblico, per ridurre la spesa per interessi - come fa il programma del Pdl - vorrà magari «abrogare il '68», in prospettiva, ma nell'immediato cerca di lasciare tranquilli tutti quelli che si avvantaggiano di una spesa corrente primaria molto inefficiente e troppo elevata. Sessantottini o no che siano.

Tutto ciò basta e avanza per dimostrare che nel programma del Pdl il tema delle dure scelte politiche necessarie per ridurre la spesa corrente primaria non viene neppure sfiorato - con buona pace delle «spiegazioni fornite (?) dagli estensori del programma» - per la banale e buona ragione che questo obiettivo non è tra quelli enunciati dal programma stesso.

La questione si può ben porre, invece, per il programma del Pd: un obiettivo così ambizioso di riduzione della spesa corrente primaria poggia su basi sufficientemente solide? Ricolfi mostra di ritenere che queste ultime potrebbero essere costituite solo da «…l'arma totale dei licenziamenti… mobilità non contrattata, …concentrare la maggior parte dei tagli sulle regioni meridionali…».

Effettivamente, queste scelte nell'Azione n. 1 del Programma del Pd non si rintracciano. Se ne trovano però altre, a mio avviso più puntuali, efficaci e realistiche, anche se maledettamente difficili. In primis, benchmarking generalizzato e sistematico: individuazione delle migliori pratiche, da trasformare in obiettivi per tutti, cui parametrare premi e punizioni (un esempio: se tutte le Prefetture avessero un rapporto addetti per abitanti peggiore «solo» del 20% rispetto a quello di Milano, più di duemila addetti potrebbero essere impiegati altrove, dove servono di più). Valutazione generalizzata, a partire dai dirigenti. Premi di produttività vincolati ai risultati e remunerazione dei dirigenti «robustamente condizionata al conseguimento di risultati predeterminati».

Abolizione dello spoils system e superamento degli automatismi retributivi e di carriera. Rimpiazzo parziale (50%) e selettivo del turnover, ricorrendo alla mobilità. E ancora: abolizione degli Ato, delle Province dove si costituiscono le Città metropolitane. Centrali di acquisto che organizzino davvero la domanda pubblica…

Scelte tante volte tentate e mai realizzate? Verissimo. Tant'è che - anche per questo - abbiamo deciso di andare «liberi» dal condizionamento di coalizioni tropo deboli per sciogliere nodi così aggrovigliati. Ci siamo dunque mostrati consapevoli «della complessità politica di un'operazione di contenimento della spesa pubblica». Quanto alla sua complessità tecnica, i conti sono presto fatto: se si ipotizza - come fa il programma del Pd - di non ridurre la spesa per prestazioni sociali, né quella per investimenti (anzi); e se si considera che la spesa per interessi è fuori dal nostro controllo ed è quindi riducibile solo con realistiche operazioni di riduzione del volume del debito, restano oggetto dell'interevento 340-350 miliardi. Le politiche sopra richiamate debbono consentirci di far crescere pochissimo in termini nominali, questo aggregato.

È difficile? Certo. Ma tra Pd e Pdl, l'unico che ha la credibilità per provare è il primo: in termini reali, la crescita della spesa corrente primaria, nell'ultimo biennio, è stata pari all'1,4%, inferiore alla crescita del Pil. Mentre, nei cinque anni precedenti, la crescita è stata pari al 2,2%, molto oltre quella della ricchezza nazionale.

Troveremmo sulla nostra strada grandi resistenze? È addirittura ovvio. Prima di dare per scontato che sindacati e sistema delle Autonomie (specie quelle del Sud) si ergeranno a difensori dello status quo, proverei però a chiedermi se non sia ormai diffusa la consapevolezza che di status quo, lentamente, si muore. Tutti.

Il Riformista, 25 marzo 2008
da www.ilriformista.it

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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