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Magda Negri

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Nicola Rossi - 7 Gennaio

Caro direttore, nel prendere il treno che lo porterà a Napoli, vorrei suggerire al senatore Enrico Morandodo di armarsi di una sgradevole ma utile convinzione: quel che da 15 anni ci diciamo - «il Mezzogiorno è una risorsa per il Paese» - è, purtroppo, vuota retorica. Così com'è, il Mezzogiorno non è una risorsa per l'Europa, né per il Paese, né per i meridionali che ci vivono. Del resto, nessuna area della quale si possa dire quel che oggi si può dire del Mezzogiorno potrebbe esserlo: il Mezzogiorno oggi può essere infatti descritto come il luogo dove lo Stato fa ciò che non dovrebbe fare e non fa ciò che dovrebbe fare.

Lo Stato, nel Mezzogiorno, non rende giustizia, non garantisce l'ordine pubblico, non forma i cittadini, non tutela la salute, non difende i più deboli, non preserva l'ambiente (e il senatore Morando sa che potrei aggiungere dei numeri
ad ognuna di queste affermazioni). Ciò nonostante, nel Mezzogiorno lo Stato è tutt'altro che assente. E' però impegnato «h24» in un'altra attività: l'estrazione di rendite. Due, in particolari, i versanti di questa «linea di business». Primo, l'intermediazione: puntuale, ubiqua, permanente. Capace di annidarsi nelle pieghe dei cento, inutili, provvedimenti di semplificazione della Pubblica amministrazione varati negli ultimi anni. Rappresentata al meglio dai tanti funzionari addetti, prima, ai patti territoriali, ai contratti d'area, di programma e passati, poi, ad animare le agenzie di qualcuno dei tanti acronimi che infestano come cavallette il Mezzogiorno.

Secondo, l'appropriazione di risorse pubbliche. Nulla di penalmente rilevante ma, più semplicemente, l'uso dì risorse pubbliche per nutrire il settore pubblico. I servizi che dovrebbero essere finalizzati a migliorare la governante (sic!) dei fondi comunitari costavano 0,4 miliardi di euro nel programma 2000-2006 (di cui il 43% andava alle regioni). L'esperimento è evidentemente riuscito, perché nel programma 2007-2013 sono lievitati fino a 1,2 miliardi di euro
(di cui il 70% alle regioni). A quel miliardo e rotti andrebbero aggiunti 2,4 miliardi di curo destinati al «rafforzamento delle
capacità istituzionali della pubblica amministrazione».

In breve, buona parte della spesa pubblica dei prossimi anni è destinata dalla Pubblica amministrazione a se stessa. Sia chiaro, i comportamenti citati non hanno un'origine antropologica. Non c'è nulla nelle classi dirigenti meridionali che renda inevitabile quei comportamenti. Per converso, concentrare la propria attenzione solo sulla «questione morale» può portare a non affrontare il problema come merita. Il punto è un altro: le classi dirigenti meridionali rispondono, come
tutte, agli incentivi e la struttura di incentivi presente nei fondi quotidianamente destinati al Mezzogiorno è tale da rendere
convenienti se non obbligati quei comportamenti. Per tutti, un esempio recente. Negli anni passati il ricorso ai cosiddetti progetti sponda (ai progetti cui si ricorre quando si è con le spalle al muro e non si sa come spendere ma spendere bisogna per non perdere i fondi) era diffuso ma sottaciuto.

E così si sono sistemate piazze, restaurate facciate di chiese ed installate fioriere ma lo si è fatto con un qualche senso di disagio. Fino a quando, qualche tempo fa, il sindaco di una grande città meridionale ha presentato (a qualche mese
di distanza dall'appuntamento elettorale) un piano per l'area metropolitana in divenire chiedendo ben 2 miliardi di fondi
strutturali per finanziare 8oo progetti (per un valore medio pari a 2,5 milioni di euro a progetto) in 31 comuni fra cui non mancano i rifacimenti di teatri, ì restauri di castelli e di poli artistico - museali nonché un porto turistico per ogni comune del litorale. Quel che era stato possibile nell'ombra è diventato possibile alla luce del sole. E i fondi comunitari hanno mostrato il loro volto più vero: quello di un metodo perverso di selezione e formazione della classe dirigente. Non mancherà, a questo punto, chi osserverà che un quadro come questo, se riferito all'intero Mezzogiorno, è fuorviante,
ricordando che nel Mezzogiorno non mancano i casi di eccellenza.

Tutto vero. Ma è bene non illudersi: si tratta di successi «nonostante». Su ogni disomogeneità si staglia un tratto
comune. Quello delle conferenze stampa convocate da un soddisfatto presidente di regione per annunciare agli elettori la lieta novella: la regione è rimasta al di qua dei limiti europei e quindi continuerà a beneficiare dei fondi europei. Segue cocktail.

In questi ultimi mesi molti hanno chiesto una presenza più incisiva dello Stato nell'economia. Ci sarà non poco tempo per discuterne, ma il Mezzogiorno è da anni lì a ricordarci dove possa portare quella richiesta se accompagnata da una lettura culturalmente povera e astratta della realtà. E' per questi motivi che la strada maestra è quella fino ad ora tentata con modesto successo: accentrare i fondi e concentrarli su pochissimi obbiettivi di carattere infrastrutturale e
sovraregionale. E' per questi motivi che il Mezzogiorno non deve temere l'ondata di responsabilità derivante da un federalismo ben pensato (fondato su criteri di vera autonomia impositiva, di solidarietà collettiva, di severa disciplina sul versante dei costi) ma al contrario salutarla con un senso di liberazione.

 

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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