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Magda Negri

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IO E IL `68 - 24/09/2007, ore 18.14.00

http://www.ifatti.com/articolo.asp?ID_ARTICOLO=2464

Nel '68 stavo nel cuore di quel movimento studentesco cui il mondo femminile diede un appoggio non marginale
Magda Negri: siamo diventati adulti contando le vittime del terrorismo, dell’eversione “nera” e della lotta armata
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Torino (Magda Negri) - Nel ’68 avevo 19 anni ed ero al primo anno della facoltà di Lettere e Filosofia, all’Università Statale degli studi di Milano. Nel cuore del movimento, si direbbe. Nel cuore di quel movimento studentesco e di quella contestazione cui il mondo femminile diede un appoggio non marginale, come risposta al pressante bisogno che allora si avvertiva di trasformare il rapporto fra individui e società e anche fra i generi.
Io nel Movimento (studentesco) ci stavo con l’autonomia critica che mi dava la mia vicinanza al PCI, al quale mi iscrissi nel’69. A vent’anni – in quegli anni – la politica a sinistra o era tutto, o non la facevi. Di quei miei vent’anni straordinariamente intensi ricordo tante cose, almeno tante quante ne ho scordate o seppellite in qualche cassetto della memoria.
Ma una cosa non potrò mai dimenticare. Dove mi trovavo attorno alle quattro del pomeriggio del 12 dicembre 1969: ero nel centro di Milano e fu quasi per caso che non passai proprio per piazza Fontana quando avvenne l’attentato terroristico alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura. La mia generazione, quella dei ragazzi del’68, è cresciuta sentendosi protagonista di movimenti che volevano cambiare profondamente la realtà, ma è anche diventata adulta contando le vittime del terrorismo, dell’eversione “nera” e della lotta armata. La violenza ci accompagnava. Ho ancora nitido, nel ricordo, lo scontro fisico fra noi ragazzi della Fgci e alcuni esponenti del Mls (Movimento lavoratori per il Socialismo), davanti alla Statale. Ricordo una mia poco eroica fuga dall’ultimo piano della facoltà e poi l’Università assediata dalla Polizia persino con mezzi cingolati.
Ricordo l’assemblea nell’aula magna, quando con il PCI riconquistammo l’agibilità politica. Ero molto “dentro” il movimento e molto orgogliosa di essere nel PCI. Dire “unità fra operai e studenti” era per me la lettura più normale della società. Mi infastidiva, invece, lo Stalinismo rozzo e puerile di espressioni quali “tutto il potere deve essere operaio” et similia. C’era più Gramsci che Tronti nel mio ’68.
Come ho già detto a vent’anni – allora, a quell’epoca - la politica a sinistra o era tutto o non la facevi. E io, che avevo una famiglia operaia, non politicizzata, ma con un forte istinto di classe, scelsi di farla immergendomici totalmente. Mio padre - che lavorava alla Scotti Brioschi di Novara – non aveva mai mancato uno sciopero. Anche gli altri scioperarono per lui quando a causa di una pesante ristrutturazione aziendale fu licenziato – lui caposquadra insieme ad altri operai – su due piedi.
Tornai un giorno dall’università e lo vidi seduto in cucina, a capo chino. Mi disse, in stretto dialetto “Non mi hanno neppure lasciato entrare a prendere la tuta…”. E poi non parlò più per una settimana. Non c’era mobilità né cassa integrazione e conoscemmo momenti difficili prima che lui potesse trovare lavoro in una piccola fabbrica di piastrelle sul Lago Maggiore, ricominciando tutto da capo. Mio padre era orgoglioso di essere un operaio molto capace, professionalizzato, non di linea. Quelli della Chiave a stella di Levi, per intenderci. Ma non amava i comunisti, non li stimava. Le famiglie contano molto nelle propensioni culturali e politiche.
Nella famiglia di mio padre erano tutti salariati agricoli, ma lombardi, molto segnati dalla cultura cattolica. Anche in quella di mia madre erano stati tutti salariati agricoli, ma mia nonna e le sue sorelle erano di cultura socialista, iscritti alle Leghe, e avevano partecipato nel Vercellese allo sciopero per le otto ore durante il fascismo. Le radici contano moltissimo, nel bene e nel male. Le mie affondarono presto su un humus culturale propizio.
Al liceo classico Carlo Alberto di Novara si studiava storia sui testi dello Spini. Dopo la maturità, iscriversi a Milano alla Cattolica o alla Statale era una scelta alternativa, e io non ebbi dubbi. Arrivai alla Statale, nel’68, con questo bagaglio culturale. Poi, quando nel’69 decisi di iscrivermi al PCI, conobbi Dino Sanlorenzo che organizzava scioperi e manifestazioni, scriveva giornali e volantini. Da lì scaturì tutto: la scelta di laurearmi in storia contemporanea con una complessa tesi sull’esperienza dei Consigli di Gestione nel dopoguerra, di lasciare l’insegnamento per incominciare a ventitré anni- era il 1972- il funzionariato politico, andando via da Novara, per trasferirmi in Lombardia, dove avevano appena aperto la scuola di partito del nord a Faggeto Lario; e poi nel ’75 a Torino.
Il’ 68 e gli anni ’70 furono studio e vita di movimento e di partito. Anni per me di impegnativo lavoro politico femminile nel PCI, con molte compagne, anni che portarono al riconoscimento di una antica e specifica soggezione dell’uomo nei confronti della donna che si prolungava prima e oltre le contraddizioni di classe. I movimenti femminili antirepressivi e antiautoritari avevano posto le questioni della sessualità e della maternità, ampliando e arricchendo tematiche che si andarono saldando, pur con posizioni diverse, con le battaglie del PCI. Furono anni a cavallo tra la cultura dell’emancipazione e la cultura della liberazione. Fu una storia di emancipazione femminile fatta di conquista di leggi e di gestione delle medesime che avrebbe portato a un campo di azione molto più vasto e diversificato. L’eredità del’68 oggi c’è ed è la sintesi fra “emancipazionismo” e “cultura della differenza”, che è ancora l'orizzonte culturale di lungo periodo in cui credo, nonostante l’insinuarsi di un “assimilazionismo” che allontana da sé la contraddizione di sesso.
Sul corpo delle donne si gioca ancora parte consistente della laicità. L’autodeterminazione della donna sulla maternità, sulla propria sessualità, è compatibile con la controffensiva sui temi della vita, della sua indisponibilità a ogni stadio? L’eredità- non risolta – che arriva dal’68 è anche quella della partecipazione e della leadership politica femminile, che oggi la nascita del Partito Democratico rende una sfida ancora più evidente su cui misurare il successo del nuovo soggetto politico.
Come altri, donne e uomini, della generazione dei ragazzi del’68, sono stata fortunata: la politica è stata impegno totalizzante, ma anche totale realizzazione. Ci ha dato occasioni di felicità. A quelli che avranno avuto vent’anni dopo quegli anni, non credo sia più successo.


Magda Negri
Senatrice Ulivo

 

 

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