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Magda Negri

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Corriere della Sera, 8 novembre 2007 - LA SCOMMESSA DI UN PARTITO APERTO MA NON «LIQUIDO» - di Salvatore Vassallo

Va dato atto a Giuliano Ferrara d'essere stato il primo, tra gli opinion maker di centrodestra, a cogliere la novità del modello di partito proposto per il Pd nel convegno di Orvieto, e di aver poi sostenuto la filosofia di quel progetto con più convinzione di molti intellettuali di centrosinistra. Ma il dibattilo che ha sollecitato sul «partito (americano) senza tessere» è fuorviante. Sembra alimentato apposta, con la consueta intelligenza ed efficacia comunicativa, per mettere il cappello su una innovazione già nata per conto suo e un dito negli occhi a quelli che, tra gli ex Ds e gli ex Dl, l'hanno mal digerita.

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Per varie ragioni, antiche e recenti, l'iscrizione ad un partito
viene considerata da molte persone con fastidio. È una barriera alla
partecipazione. Tanto che alcuni milioni di persone indisponibili
a «prendere la tessera» - un atto che non comporta particolari
obblighi e la cui riservatezza è tutelata per legge - sono stati ben
lieti di compiere gesti politicamente assai più impegnativi come
partecipare in luoghi pubblici a primarie o ad elezioni interne di
partito. Proprio per questo il Pd è nato invertendo il tradizionale
principio per cui prima ci si iscrive e poi, eventualmente, si
partecipa. Se lo statuto del Pd sarà fedele all'imprinting, come
Veltroni ha sostenuto con enfasi nel suo discorso inaugurale
all'Assemblea di Milano, le tessere serviranno, eventualmente, a
riconoscere chi, come i volontari delle feste o il sottoscritto, ha
l'attitudine a investire gratuitamente parte del suo tempo per la
politica, oltre a chi la politica la pratica per professione.
D'altro canto, una componente associativa è necessaria per
sorvegliare il rispetto delle norme statutarie. Non ne ha bisogno
solo un partito «del» leader come Forza Italia.

Acquisito che le decisioni rilevanti nel «partito aperto» le
prendono tutti i sostenitori, quello della tessera è un problema
falso o comunque minore. Più rilevantiv sono i nodi evocati con
l'immagine (infelice) del «partito liquido». Se tutti i sostenitori
eleggono i leader, fino a che punto questi ultimi devono poi essere
condizionati da altri capi, capetti e baroni? E come si fa, d'altro
canto, a costruire, per via democratica, un partito a vocazione
maggioritaria, con una leadership forte, senza dare al leader poteri
che rendono la sua posizione non contendibile?

I primi passi del Pd hanno dato, da questo punto di vista, un saggio
dei nuovi equilibri prodotti dall'elezione diretta del segretario ma
hanno anche segnalato alcuni problemi. Per affermare il suo ruolo,
Veltroni ha fatto piccole forzature, su più fronti, scontentando di
volta in volta segmenti diversi del nuovo partito riunito. Ha
indicato alcune priorità per l'azione di governo, ma a dire il vero
non ha forzato più di tanto la mano a Romano Prodi, come alcuni
temevano e continuano a dire, perché è oggi oggettivo interesse
comune giocare di sponda. Ha dato invece visibilmente ad intendere
agli ex leader Ds-Dl, ed aspiranti «baroni», che non sarà un primum
inter pares. Ha nominato Franceschini suo vice, togliendo ogni
residua speranza a chi aveva interpretato le elezioni del 14 ottobre
come una sfida per il secondo posto. Ha scontentato qualcuno nella
composizione delle commissioni costituite all'assemblea di Milano,
ma non Bindi e Letta che hanno partecipato alla nomina. Ha chiarito
che la gestione finanziaria del Pd sarà affidata ad un suo
fiduciario, e sarà quindi indipendente dai tesorieri di Ds e Dl.

Alcuni di questi strappi potevano forse essere presentati in maniera
più elegante, ma nella sostanza hanno tutti una giustificazione.
Altri possono creare invece dubbi legittimi di una
eccessiva «liquidità», intesa come evanescenza dei meccanismi
interni di rappresentanza e controllo. 11 regolamento per il 14
ottobre prevedeva che entro il 31 dicembre ci sarebbe stata
l'«elezione delle Assemblee provinciali e dei Segretari
provinciali». Il dispositivo finale dell'assemblea di Milano, letto
rapidamente e affidato a una davvero sommaria approvazione dei
delegati dice invece che i «coordinatori provinciali» verranno
scelti da gruppi di costituenti nazionali e regionali, in larga
parte espressione dei vincitori del 14 ottobre, riuniti in conclave.
Questa scelta è in effetti compatibile con la visione del Pd evocata
da Veltroni a Milano, di un partito aperto ma non liquido, solo se
serve ad azzerare lo status quo ante il più in fretta possibile e
solo se è una soluzione transitoria di brevissimo corso.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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