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Magda Negri

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Il Riformista, 30 gennaio 2008 - E Walter scrive il programma del Pd - di Tommaso Labate

Lunedì 28 gennaio 2008, ieri l'altro. Meno di ventiquattr'ore prima di salire al Quirinale per le consultazioni, durante una riunione ristretta dell'esecutivo del Pd, tocca a Dario Franceschini mettere nero su bianco la questione. «Prepariamoci subito a lavorare sulle liste, iniziamo a mettere giù i punti del programma», dice il numero due del partito.
Il numero uno, la parte sua, aveva già cominciato a farla dalla mattina, ricevendo in Campidoglio alcuni fidatissimi esperti in materie economiche e cominciando a fissare «i punti su cui si dovrà insistere in campagna elettorale».

 E pensare che tutto
doveva andare in maniera diversa, con Veltroni pronto a mettere su
un'équipe di una ventina di teste d'uovo cui affidare un capitolo a
testa del programma democratico. Invece no, ripete un collaboratore
del segretario del Pd, «meglio accelerare e non rischiare di
arrivare impreparati qualora si entrasse in campagna elettorale a
stretto giro». E visto che le scadenze arrivano tutte insieme, c'è
anche la storia legata alla poltrona da sindaco con annessa dead
line (4 febbraio), superata la quale le dimissioni di Veltroni
comporterebbero in ogni caso il commissariamento del comune di Roma.
Nella stretta cerchia di Walter, l'enigma viene risolto con una
frase secca: «Si dimetterà solo con lo scioglimento delle Camere».
Se questo succedesse troppo tardi, la gestione dell'Urbe finirebbe
nelle mani di un commissario scelto comunque dal governo in carica
(Achille Serra?).
Andando al cuore di tutta questa storia, c'è la ricerca delle
alleanze di un Pd che correrà in solitaria, cercando comunque di
tenere dentro il grosso delle forze riformiste della (fu) Unione.
Niente Rifondazione, niente Pdci e un veto per Pecoraro Scanio,
dunque. Su tutti gli altri, la grande trattativa è già iniziata. E
dovrà produrre effetti a breve se è vero, come ha confidato ieri
pomeriggio Francesco Rutelli ai suoi, che «bisogna muoverci da
adesso perché al 99 per cento si va a votare subito».
I tavoli sono tanti e c'è chi gioca su più di uno. Antonio Di
Pietro, ad esempio, davanti ai microfoni lavora per la Cosa bianca
mentre al telefono parla soprattutto col Campidoglio. «C'è questo
appuntamento di Torino con Tabacci e Baccini - ripete
l'italvalorista Leoluca Orlando - ma a noi già il termine "Cosa
bianca" non piace per nulla. Mentre il tema dell'alleanza col Pd su
una "Cosa nuova" invece...». Dalla parte opposta rispetto ai puntini
di sospensione dell'ex sindaco di Palermo, c'è l'interlocuzione del
Pd con la Sinistra democratica dei "furono ds" Fabio Mussi e Cesare
Salvi. I veltrones hanno già testato amici di vecchia data come
Marco Fumagalli e Gloria Buffo, ricevendo in cambio - pare - un "no,
grazie, per ora guardiamo a sinistra". Assai più probabile - dicono
al Loft - che dia buoni frutti il canale di comunicazione aperto dal
Pd con il gruppetto cgil di Sinistra democratica (da cui va tenuta
fuori la capogruppo dei mussiani alla Camera Titti Di Salvo, che
guarda a sinistra anche lei).
Alla finestra del semi-autarchico Pd guardano anche i
socialisti. «Aspettiamo di vedere come andrà a finire questa crisi.
Prima di ogni governo serve un accordo sulla legge elettorale»,
ripete Roberto Villetti. Solo dopo, aggiunge il
capogruppo, «cominceremo a guardare seriamente alle proposte di
carattere programmatico». Bobo Craxi completa il discorso: «Ci sono
tante ragioni che ci spingerebbero a star lontani dal Pd e tante che
ci inducono ad avvicinarci». Tra le seconde, dice il sottosegretario
agli Esteri, «c'è il tempo che stringe, l'urgenza di stare separati
dalla sinistra massimalista e la necessità che i socialisti riescano
ad avere una rappresentanza in Parlamento». Aggiunge Craxi: «Il Pd
deve riflettere anche su altri aspetti. Ad esempio, lasci che Di
Pietro vada coi suoi simili, giustizialisti e democristiani, e apra
le porte ai Radicali».
Quanto al rapporto con Prc e soci, circolano scenari politici
(desistenza) e tecnici (accordo solo al Senato). «O ci si allea o
non ci si allea. Nessuna via di mezzo», tronca Giovanni Russo Spena
mostrando l'altra faccia della medaglia di chi, dentro il loft,
ripete fino alla nausea: «Noi facciamo un nostro programma e
accogliamo solo chi lo sottoscrive in pieno».

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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