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Magda Negri

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13 Aprile - Col Governo Veltroni, le 7 riforme istituzionali dei primi 100 giorni.

La prima novità del prossimo Parlamento sarà merito nostro: soli 5 gruppi parlamentari alla Camera (il nostro insieme all¹Italia dei Valori, quello di Berlusconi, la Lega, l¹Udc e la Sinistra Arcobaleno), da 3 a 5 al Senato(Udc e SA sono in forse, per il sistema elettorale più selettivo), con iprimi due che dovrebbero ottenere alla Camera nel complesso più dell¹80% deiseggi e al Senato forse anche il 90%. Il tutto senza aver cambiato la legge elettorale. 

Grazie a noi tanta parte della frammentazione sarà ridotta inmodo fortissimo a soli due anni dalle politiche del 2006: tutto è nato dallascelta del Pd di andare libero, che ha imposto a Berlusconi di dar vitaanche una lista di grandezza pari a quella del Pd, abbandonando la stradadella costruzione di una coalizione omnicomprensiva. Una scelta, la nostra,che ha imposto a tutti gli altri, obbligati a quel punto a scalare le soglie
del 4% (Camera) e dell¹8% (Senato) ­ e non più quelle risibili del 2% e del3% destinate ai soli partiti coalizzati ­ di scegliere se aggregarsi (come ha fatto la Sinistra Arcobaleno) o candidarsi sapendo di essere fuori dalleCamere. Cosa vorranno dire questa semplificazione e questa bipartitizzazione, che ci porteranno un numero di gruppi e una percentuale
di parlamentari dei primi due partiti quasi identici rispetto alla Camera
spagnola neo-eletta? Anzitutto un risparmio netto, giacché ogni gruppo in
più comporta spese aggiuntive, ma soprattutto uno snellimento molto
sensibile delle decisioni, comprese quelle sulle riforme ulteriori delle
istituzioni. Con un Parlamento così semplificato non ci sarà bisogno di
altre sedi come Assemblee costituenti e comitati di saggi per tentare di
superare i veti dei micro-gruppi. Insomma, per merito del Pd, del modo con
cui si è presentato alle elezioni provocando reazioni a catena, le riforme
sono già cominciate per via politica: in passato il maggioritario era stato
proporzionalizzato, ora abbiamo dimostrato che si poteva fare il contrario.
Certo, molto resta però da fare, anche proprio sul terreno dei gruppi,
perché la frammentazione potrebbe poi ricominciare, qualora i Regolamenti
restassero quelli in vigore, caratterizzati da requisiti numerici deboli e
derogabili nonché da requisiti politici inesistenti. Vanno quindi riformati
sin primi giorni sulla base del principio che il Parlamento non possa più
separare ciò che gli elettori hanno unito. Non è difficile poiché si tratta
di un¹innovazione che ha il compito di consolidare l¹acquisito. Anche una
terza innovazione va praticata subito, anche perché più tardi sarebbe più
difficile: la riduzione del 20% degli stipendi dei parlamentari. E¹ bene che
ciascuno, sin dal primo stipendio, si abitui a un parametro più basso. Così
pure per la modifica delle pensioni ai parlamentari, da raccordare ai
contributi. Anche una quinta riforma, quella delle leggi sul finanziamento,
si presenta fattibile subito, perché deriva da norme schizofreniche imposte
in passato dai piccoli partiti perché decisivi per il Governo: niente più
risorse a pioggia a chi ha preso anche solo l¹1%, ma solo per chi ha
superato gli sbarramenti della legge elettorale e soltanto per gli anni di
durata effettiva della legislatura e finanziamento alla stampa di partito
esclusivamente per le forze politiche che hanno ottenuto consensi tali da
potersi costituire in gruppo parlamentare.
Nei primi giorni della prossima Legislatura sarebbe anche sensato procedere
già alla riforma delle leggi elettorali? Sì, e per due importanti motivi: il
primo è che le riforme di questa natura si fanno molto meglio a distanza dal
voto successivo, perché si opera dentro un velo di ignoranza e poi perché il
tempo per la celebrazione dei referendum elettorali riprende a scorrere. La
primavera del 2009 già incombe. Tuttavia, già con questo tema, e con quello
delicatissimo del federalismo fiscale, il quadro si complica. Le cinque
riforme precedenti sono merito quasi esclusivo del Pd, della scelta di
andare libero alle elezioni, e per questo si può pensare che sarebbero
realizzabili con un grande accordo a prescindere da chi sarà il vincitore.
Invece con la legge elettorale e il federalismo fiscale, per non parlare poi
delle riforme costituzionali ­ che ovviamente non si possono fare nei primi
100 giorni ­ ciò diventa possibile solo con la nostra vittoria elettorale,
perché consegnerebbe al Paese una maggioranza parlamentare omogenea, senza
veti interni, che potrebbe aprirsi anche alla gran parte delle opposizioni.
Se invece dovesse vincere l¹alleanza eterogenea del centro-destra, sarebbe
tutta un¹altra storia: con tutta probabilità la Lega Nord svolgerebbe al suo
interno quella funzione di veto paralizzante che i partitini dell¹Unione
hanno avuto nella Legislatura conclusa. Oppure si avrebbe una blindatura
della maggioranza che impedirebbe qualsiasi dialogo: come accadde con la
riforma costituzionale poi respinta dal referendum del 2006, nata proprio
dalla esigenza della Lega di imporre la devolution. Sul federalismo fiscale,
le proposte del programma elettorale della Lega, separato da quello del Pdl,
sono incompatibili con la Costituzione vigente e con qualsiasi logica
solidaristica. Sulla legge elettorale, i dissensi potrebbero impedire una
riforma prima del referendum: a quel punto, per evitarlo, potrebbe
addirittura cadere il Governo e magari anche chiudersi la legislatura
anticipatamente, dato che esso imporrebbe alla Lega di andare da sola o di
rinunciare al proprio simbolo. Se non vogliamo quindi limitarci alle prime
cinque riforme, che ci farebbero risparmiare i primi 200 milioni di euro del
miliardo complessivo che si può raggiungere con le proposte del Pd
illustrate da Veltroni, è proprio decisivo che i primi 100 giorni siano del
quinquennio del Governo Veltroni e non di un debole e precario Governo
Berlusconi, ostaggio di una Lega determinante dal punto di vista
quantitativo e sempre più su posizioni estremistiche. Si può fare, insieme,
ma solo col Pd al Governo.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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