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Magda Negri

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16 aprile 2008

Ha ragione chi ha notato che il nuovo Parlamento italiano nato dalle elezioni di domenica e lunedì sarà l'unico dei principali parlamenti  europei dove non troverà posto alcun partito che nel nome si richiami al socialismo o al comunismo. E questo accade nonostante che, come è noto, partiti con quei nomi abbiano segnato profondamente per decenni la storia della sinistra italiana e, insieme, la storia del Paese.

Siamo di fronte, insomma, a una svolta
profonda non solo del nostro sistema politico, ma della nostra
intera vicenda nazionale, del lungo e tormentato configurarsi delle
culture politiche italiane. Svolta tanto più significativa in quanto
poi coincide con lo schierarsi elettorale a destra di tutto il Nord,
cioè delle regioni più industriose, più ricche e più avanzate della
penisola, un tempo, in molte zone, roccaforti della sinistra che
aveva il socialismo o il comunismo nella propria insegna.

Da questo punto di vista è oltremodo indicativo il sorprendente
successo della Lega in una regione come l'Emilia Romagna, con oltre
il 7% dei voti alla Camera. In realtà la Prima Repubblica non è
finita nel 1994, è finita ieri; e il terremoto che ha colpito la
sinistra può essere interpretato come la conseguenza del modo miope
e insufficiente con cui proprio la sinistra affrontò 15 anni fa la
crisi di quella fase della democrazia italiana, non cogliendone né
il significato né le implicazioni. E perciò riducendosi
oggettivamente, allora e poi, a un ruolo di puro e semplice freno
anziché di spinta e di direzione. Ciò che portò alla fine la Prima
Repubblica fu essenzialmente la mancanza di alternativa di governo,
il fatto che per svariati decenni a reggere il Paese fossero più o
meno sempre le stesse forze. Uno degli effetti ne fu per l'appunto
la vasta corruzione (da qui Mani Pulite), insieme alla progressiva
decrepitezza dei meccanismi e degli strumenti amministrativi (per
primi quelli dell'amministrazione statale) e all' inamovibilità
castale delle élites del Paese in quasi tutti i campi. Inutile dire
il motivo della mancanza per tanto tempo di una credibile
alternativa di governo: la presenza all'opposizione di un Partito
comunista il cui sfondo ideologico e la cui collocazione
internazionale, essendo entrambi storicamente contigui alla vicenda
bolscevico- sovietica, non lo legittimavano a governare una
democrazia occidentale come l'Italia.

La fine dei partiti di governo della Prima Repubblica (Dc e Psi) per
effetto delle inchieste giudiziarie di Di Pietro non ebbe l'effetto
di spingere quelli che erano ormai i reduci del naufragio comunista
a una revisione radicale della propria storia. E neppure li indusse
a una rivisitazione altrettanto radicale di tutto l'impianto socio-
statuale italiano, delle reti d'interesse, dei luoghi di potere
accreditati, delle convenzioni bizantine, delle fame posticce di un
regime ormai alle corde. Ebbe anzi un effetto paradossalmente
pressoché opposto. Indusse gli ex comunisti a considerarsi quasi
come i curatori testamentari di questo insieme di lasciti, facendosi
catturare dalla tentazione di poterne addirittura diventare
agevolmente gli eredi. Ciò che infatti cominciò fin da subito a
verificarsi. Con la conseguenza però che abbagliati da questa facile
conquista gli scampati al naufragio comunista non sentirono più
l'urgente necessità, che invece avrebbero dovuto sentire, di buttare
a mare alla svelta il proprio patrimonio ideologico, di ravvedersi
senza esitazioni delle loro mille cantonate, di prendere
coraggiosamente un nome e un abito nuovi. O, se lo fecero, presero a
farlo con tempi politicamente biblici, dell'ordine degli anni.

Nel frattempo, come dicevo, orfano della protezione un tempo
elargitagli dalla Dc e dal Psi, il potere tradizionale italiano
cresciuto e prosperato sotto la Prima Repubblica si apriva
volenterosamente a quelli che esso riteneva ormai i nuovi padroni
della situazione. In breve tutto l'establisment economico-
finanziario del Paese, tutta la cultura, tutta la burocrazia, tutti
gli apparati di governo, dalla polizia alla magistratura, gran parte
del vecchio cattolicesimo politico divennero o si dissero di
sinistra. Ma proprio la massiccia operazione di riciclaggio e
di «entrismo» da parte dei vertici della società italiana e dei suoi
poteri, nell'area della sinistra ex Pci, insieme all'esasperante
lentezza con cui procedeva la revisione ideologica di questa, hanno
valso a porre il partito della sinistra ex comunista, nell'ultimo
dodicennio, in una posizione sostanzialmente conservatrice. L'hanno
reso di fatto il tutore massimo dell'esistente, incapace di
comprendere i grandi fatti nuovi che si andavano producendo nel
Paese, di rompere incrostazioni e tabù, restio a politiche animate
da coraggio e da fantasia, timoroso infine di rompere le vecchie
solidarietà frontiste. In vario modo questa parte, invece, se la
sono aggiudicata fin dal 1994 le varie destre che allora videro la
luce e/o che allora presero a ricomporsi.

Le quali, a cominciare da Berlusconi, hanno invece avuto facile
gioco, esse sì, ad apparire fino ad oggi (e quale che fosse la
realtà) tese al cambiamento, lontane dal potere costituito, prive di
troppi pregiudizi ideologici, in sintonia con la pancia e con le
esigenze più vere del Paese. Il merito indiscutibile di Walter
Veltroni è stato quello di capire che sulla strada iniziata nel
lontano 1993-94 la sinistra non poteva più procedere. Prendere le
distanze dal governo Prodi ha voluto dire precisamente prendere
visibilmente le distanze dalla tradizione. Da quella tradizione
italiana che se da un lato era servita a far vivere il nome del
socialismo e del comunismo, dall' altro però aveva reso sempre
impossibile - ai partiti che ne portavano i nomi - qualunque
autonomo ruolo politico innovativo alla guida del Paese. Veltroni ha
capito che bisognava cancellare questa storia, la quale era stata
anche tanta parte della storia della prima Prima Repubblica; che era
finalmente giunto il momento di porre fine alla Prima Repubblica.
Per farlo ha oggi dovuto pagare un prezzo assai alto, certo. Ma i
conti veri, come sempre, si potranno fare solo alla fine.

 

 

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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