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Eterogenesi dei fini e l’ombra dei populismi

By 30/06/2016Febbraio 17th, 2024Attualità

Oggi si insedia la Giunta del nuovo sindaco di Torino: meritano gli auguri di buon lavoro. Ereditano una città ottimamente amministrata, una città sana, quindici anni senza uno scandalo, caratterizzati da una politica di alto livello culturale e da una diffusa intellettualità disposta a collaborare per il bene comune, da cittadini che, pur nella crisi, chiedono ai nuovi amministratori di continuare e migliorare il lavoro già fatto.

Le vicende delle elezioni amministrative italiane che hanno cambiato il quadro politico nazionale sono state seguite dalla Brexit, rivelatasi una sorta di palla di neve che, ingrossandosi, è destinata a generare effetti geopolitici importanti. Il cinismo di Cameron, Boris Johnson, rischia di favorire un dramma continentale dal punto di vista finanziario e non solo di cui la stessa Inghilterra credo si stia pentendo. Spinte nazionaliste e centrifughe stanno scuotendo la Scozia e l’Irlanda e viene messa in discussione la stessa unità nazionale.

Ora sembra che tutto si riduca, per l’ Inghilterra,  a ridefinire le condizioni di uscita dall’Europa, i tempi, le norme commerciali ecc., ma non è così. L’Inghilterra sarà come la Norvegia? Se sì, dovrà partecipare al bilancio comunitario ed accettare la libera circolazione delle merci e delle persone, ma è proprio sulla questione dell’immigrazione che si è verificata la frattura Inghilterra- UE.

Il referendum è stato una palla di neve che ha potuto ingigantirsi e diventare valanga grazie al voto dell’Inghilterra rurale, dei non giovani, delle classi meno colte, degli operai che soffrono, come in Italia, maggiormente la crisi e insieme dei nostalgici del passato, della grande Inghilterra erede coloniale, del Commonwealth. Errore grandissimo: non rinascerà una nuova “anglosfera”, una nuova unità anglosassone, come dimostra proprio l’accordo rafforzato due giorni fa tra Stati Uniti, Canada e Messico. Si tende spesso ad azzardare un paragone tra il referendum inglese e il nostro di ottobre sulla riforma costituzionale, paragone che ritengo quanto mai improprio, poiché per quanto sia profondamente convinta della necessità di votare il si alla riforma, non ritengo che un risultato positivo o negativo possa avere degli effetti  sistemici paragonabili, specialmente a livello internazionale. Mi auguro davvero che non solo la maggioranza del PD, ma i cittadini di ogni orientamento politico  sappiamo tutti insieme votare SI per garantire la stabilità di qualsiasi governo, non importa di quale colore, perché la stabilità è un bene comune per la nazione. Il cinismo e lo strumentalismo politico di cui Cameron è stato il vertice, a lungo andare, non pagano.

Dobbiamo imparare da questo tormentato periodo che i temi populistici sono ormai  purtroppo il mainstream della discussione pubblica: il populismo è come un’idrovora che raccoglie ogni tipo di disagio, lo enfatizza, ma non cerca e non trova una soluzione. Al populismo si accompagna un’evocazione continua del “nuovo”, del cambiamento in quanto tale, a proposito del quale non potrei dire meglio di Mauro Magatti nel suo articolo apparso sul Corriere della Sera di pochi giorni fa:

“In un’epoca senza storia — nel quale cioè è la politica in quanto tale a essere in crisi — il cambiamento è continuamente evocato, senza indicare né la direzione né i modi concreti per realizzarlo. A contare non è mai il programma. Verso dove e come andare. Ma il cambiamento in se stesso. Che magicamente dovrebbe risolvere i nostri problemi, abituati come siamo a pensare che la soluzione stia nell’innovazione in quanto tale. Per chi vota, la scheda elettorale è una cambiale a termine con un’unica clausola: cambiare. Come imperativo categorico del tempo che viviamo. In Italia, questo meccanismo ha funzionato con il Renzi rottamatore. E vale oggi, per i sindaci 5S. Si parla molto del ruolo della rete. Ma, a imperare continua a essere la tv. Quella tv che ha assorbito la logica «dal basso» tipica del web. I candidati che vincono — da noi oggi i 5stelle, ma la stessa cosa vale per altri partiti e altri paesi — sembrano tratti da un casting di Italia’s got talent. Bella presenza, capacità di comunicazione, atteggiamento anti-istituzionale. Dove l’inesperienza è un valore. Perché testimonia essere fuori dai giri tradizionali. Si sperimenta così un modo nuovo di selezione delle classi dirigenti, quasi fossimo alla ricerca di nuovi «talenti». Saranno poi i fatti e il consenso del pubblico a confermare o meno se è nata una stella.

Per questo, nel crollo delle appartenenze e dei discorsi politici, acquistano peso fattori biografici quali la giovane età o l’essere donna. Fattori immediatamente riconoscibili e comunicabili, che testimoniano di un cambiamento che prima di tutto è inscritto nel corpo dell’eletto. Il problema è che buona volontà e freschezza non bastano. Per governare occorre studiare, avere competenze, esperienza, coraggio, relazioni e saper delineare un’idea di società da suscitare e perseguire. È questo il vero tema dei prossimi mesi. Sia per l’establishment, che pare ipnotizzato dalla complessità dei problemi, sia per gli emergenti che si candidano al nuovo, la sfida è riempire di contenuto il vuoto che la parola «cambiamento» oggi nasconde. Che fintanto che rimane tale, cioè pura evocazione, rischia di condannarci alla successione caotica e brutale di eventi che si scaricano direttamente, senza più alcuna protezione, sulle vite individuali. Fuori dalla storia, c’è solo il gelo della rabbia e della solitudine.”

La sinistra riformista non deve in nessun caso associarsi a questa corrente dominante, ma ricordarsi di specificare sempre direzione e contenuti, anche se è dura, anche se di va in minoranza.  

Se si salta in groppa alla tigre del populismo, bisogna essere ben consapevoli che la tigre non può essere né diretta ne governata, ma restano solo due alternative: saltare giù o esserne divorati.

 

 

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MAGDA NEGRI

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