Diciamoci la verità: incomincia ad aleggiare una sottile tentazione di distinguo e relativa presa di distanza dalla richiesta francese di applicare il Trattato di Lisbona per un coordinamento forte dell’azione anti Isis.
“Sono qui fra noi” si dice (specialmente i Grillini) “combattiamoli qui, non in Siria, non in Iraq così lontani e pericolosi”. Certo pesa il bilancio negativo di tanti anni di guerra in Iraq e Afghanistan, ma ogni storia ha un suo inizio.
Rinunciare a bombardare i covi dei terroristi nel cosiddetto Stato Islamico non diminuisce, anzi aumenta il pericolo.
Ricordiamoci il Governo D’Alema che nel 1998 in un quadro internazionale ancora imperfetto mandò i cacciabombardieri sulla Serbia per difendere i cittadini islamici del Kosovo e di Sarajevo dallo sterminio etnico perpetuato dai Serbi.
Di fronte al salto di qualità del terrorismo e del radicalismo islamico che giustifica l’utilizzo del termine “guerra” non si può rispondere “Io speriamo che me la cavo”.