Nel dibattito sul referendum costituzionale, incominciato male e che sembra proseguire peggio, in un esasperato politicismo e personalismo, segnalo volentieri l’articolo di Sergio Fabbrini, esemplare per concretezza e onestà intellettuale. «Non bisogna- dice giustamente Fabbrin i- fare deragliare un treno in corsa perché non ci piace la stoffa dei sedili e degli scompartimenti.»
I punti fondamentali: il superamento del bicameralismo maggioritario è un fatto storico poiché, come avviene in tutte le grandi democrazie parlamentari, la fiducia al Governo sarà data solo dalla Camera dei Deputati. Fa bene Fabbrini a non indulgere troppo sull’ argomento populistico del “così si risparmiano i soldi”. La legge elettorale, approvata per la sola Camera dei Deputati, rimuove le maggioranze differenziate alla Camera e al Senato sulle quali erano inciampati quasi tutti i governi della Seconda Repubblica.
Si riconosce giustamente che manca l’introduzione della sfiducia costruttiva e questo è un grave limite in quanto la stabilità politica non è ampiamente garantita; basterebbe infatti il voltafaccia di una trentina di parlamentari per far saltare il Governo. Molto interessante la riflessione sugli adattamenti continui, in Canada e in Germania, del rapporto tra Regioni e Stato Centrale. Si apprezza il ruolo più forte dei referendum e il non intervento nella composizione e nei poteri della magistratura che invece la riforma di Berlusconi del 2006 aggrediva pesantemente. Ha ragione Fabbrini: è questione di visione del futuro del Paese.
Anche l’articolo di Ceccanti “Un sì per non ritornare nella palude” sull’ Unità di domenica 22 maggio rafforza questa impostazione, come l’appello degli intellettuali di Mondo Operaio che intravedono che sarà spuntata l’arma della questione della fiducia con la quale i governi hanno finora ricattato le due Camere.
In questo modo il rafforzamento dell’esecutivo porterà con sé il rafforzato e rinnovato ruolo del Parlamento.