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L’ex segretario («per sorte benevola», avrebbe detto Machiavelli) ha continuato a sottovalutare il partito

di Antonio Funiciello

ROMA. Il primo grande errore di Franceschini è stato quello, subito dopo le dimissioni di Veltroni, di farsi eleggere segretario da un’annoiata e assai poco partecipata assemblea nazionale riunita a fine febbraio in tutta fretta. C’erano i tempi e i modi per andare a congresso prima delle elezioni europee, prendendo alla sprovvista D’Alema e Bersani (spiazzati da quelle dimissioni di Veltroni per cui pure tanto tenacemente avevano lavorato) e provando a cercare un mandato politico vero.

Prevalse in Franceschini l’idea che i rischi erano maggiori dei benefici e ci si affidò alle poche centinaia dei tremila delegati previsti, per farsi passare il testimone dal segretario dimissionario.  Con le liste per le europee da compilare, D’Alema aveva capito meglio di tutti che quella era un’occasione ghiotta per irrobustire le proprie file e il progetto di alternativa a Veltroni. L’illusione di Franceschini consisteva sostanzialmente nelle garanzie di tenuta nel mondo ex comunista che gli dava Fassino. Garanzie che si sono letteralmente sgretolate: col passare delle settimane vicino a Fassino non è rimasto praticamente nessuno. Quando dopo l’estate Franceschini ha capito in che situazione si era venuto a trovare, provando a prendere il toro (D’Alema) per le corna, era ormai troppo tardi. Con Bersani, è bene ricordarlo, si erano schierati già prima delle ferie tutti i presidenti di Regione del Pd, tutti i sindaci delle città capoluogo (a parte Chiamparino, che però non stava con nessuno), la quasi totalità di presidenti provinciali e sindaci dei capoluoghi di provincia.Tutto il partito locale era, insomma, con l’ex ministro.

In una competizione primaria in cui i candidati nazionali e regionali sono sostenuti da liste composte da dirigenti periferici espressi dai territori, il vantaggio che offre avere dalla propria parte l’establishment politico-istituzionale locale è enorme. In questo contesto, Franceschini ha compiuto il suo esiziale secondo errore: l’idea che la filiera Sassoli-Serracchiani potesse rappresentare il controcanto nella situazione parecchio sbilanciata a favore di Bersani.

Se è vero che nomi del genere hanno mostrato un certo appeal alle europee, è altrettanto vero che la loro estraneità - quando non avversità - al partito vero (quello delle migliaia di volontari che permettono di organizzare ”cose” come le primarie) rappresentava un ostacolo insormontabile per farne un reale controcanto. Franceschini ha avuto la debolezza di credere di poter fare di Sassoli e Serracchiani i suoi pretoriani e n’è stato fortemente penalizzato, entrando per altro spesso in contrasto, per colpa loro, con la sua corrente di riferimento popolare. A questi due errori tattici se ne somma uno di profilo politico complessivo non meno importante. Dal giuramento sulla Costituzione col papà partigiano alle manifestazioni risorgimentali sul Monviso, Franceschini ha commesso l’errore di caratterizzare la sua offerta politica di un radicalismo fine a sé ispirato al solito antiberlusconismo.

Non è un caso che iniziative meritorie come i dieci discorsi agli italiani non siano mediaticamente passate. Anche quando, valga come esempio, Franceschini si è espresso a favore dell’equiparazione dell’età pensionabile contrastata da Bersani, non è stato preso sul serio. L’accentuazione dei toni antiberlusconiani con l’appiattimento su Repubblica (che poi neppure lo ha sostenuto), la rincorsa della legittimazione a sinistra indossando i calzini turchesi, il terzomondismo veltroniano nella scelta del vice, sono tutte caratterizzazioni che hanno impedito una sua raffigurazione di leader moderno che rompe con la constituency di riferimento.

Nel Principe (capitolo VII) Machiavelli spiega che c’è una differenza decisiva tra i principati conquistati per merito attraverso la strenua lotta politica e quelli fatti propri grazie a una sorte benevola. In questo secondo caso, che è quello che fotografa il modo in cui Franceschini in un momento di difficoltà (dimissioni del segretario) ha fatto strada (passando da vice a segretario nazionale), è molto complicato conservare il principato fortuitamente fatto proprio.

Se non si dimostrano qualità politiche che rivelano la capacità di fare di quel momento favorevole la base per costruire stabili condizioni di mantenimento del potere, quando il vento cambia il principato è destinato ad andare perso. L’ha scritto Machiavelli cinque secoli fa e la recente parentesi fraceschiniana, se ce ne fosse bisogno, sta lì a dimostralo.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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